Recensione: Reign Supreme

Di Vittorio Sabelli - 19 Giugno 2012 - 0:00
Reign Supreme
Band: Dying Fetus
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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82

Verrebbe da dare a questo settimo sigillo della saga Dying Fetus il titolo “Il Capitolo Finale”, riprendendo le gesta spietate di John Kramer in “Saw”, ma sarebbe un peccato non poter assistere alla crescita della creatura (mai) messa al mondo da John Gallagher. Perché, dopo qualche anno, il combo ritorna a terrorizzare il panorama musicale con un altro tassello che continua a riempire il puzzle iniziato con “Purification Through Violence” nel 1996.

Quando si parla del combo proveniente dal Maryland è d’obbligo fare delle premesse, sia musicali ma soprattutto extra. In questo caso vorrei schierarmi dalla parte della libertà di azione e di pensiero per quanto riguarda l’arte in generale e ancor di più per l’aria in vibrazione, nello specifico sulla scelta della line-up. Perché cercare a tutti i costi di tenere una band insieme per periodi interminabili (facciamo le dovute eccezioni – seppur con riserva – per Iron Maiden, Slayer e Metallica), se gli obiettivi e la direzione intrapresa non vanno in simbiosi tra i membri del gruppo o/e portano a creazioni non all’altezza? Meglio i divorzi ‘creativi’. Se John Gallagher decide di cambiare elementi, è solo per portare avanti il suo pensiero e il suo discorso creativo/musicale, e, chiunque abbia preso parte al suo progetto, ha sempre contribuito alla causa in maniera professionale e personale per il collettivo. Dall’ultimo “Descend Into Depravity” la squadra d’attacco rimane la stessa, e per ovvi e vari motivi: fermo restando che ormai il partner di contrapposizione vocale Beasley è l’alter ego e allo stesso tempo un tutt’uno col leader, la macchina ritmica che risponde al nome di Trey Williams è ben collaudata e capace di esaltare i pensieri estremi del combo.

“Reign Supreme” segue a distanza di un anno l’EP “Hystory Repeats”, tribut-album a Napalm Death, Pestilence, Cannibal Corpse e Bolt Thrower tra gli altri: i must che hanno cresciuto e battezzato i Dying Fetus. E il regno dove impera il mostro innato, è un regno violento e spietato che vede la creatura cresciuta che prosegue senza tregua la sua marcia feroce. E lo fa senza mezzi termini: gli sweep’n’riff dell’opener “Invert The Idols”, intersecati ai caratteristici cambi di tempo, sono una bomba di chiodi, di quelle alla Jigsaw, il cui refrain è di quelli ridondanti e il finale slow istiga il doppio pedale di Williams a contrapporsi a velocità elevatissime al riff doomy della chitarra. Ma non è un caso che la mossa del finale slow sia per risaltare ulteriormente quello che è uno dei doni ricevuti dal leader, ossia di sputar fuori riff dalla caratura e dall’impatto istantaneo; ed ecco che “Subjected To A Beating” diventa uno di quei brani da ‘rewind continuo’, con il groove che entra nelle ossa. “Second Skin” è terreno di battaglia tra le due voci con i continui cambi di tempo a sostenerle, finché il duello è interrotto momentaneamente dall’infuocata chitarra di Gallagher che, a colpi di sweep, continua il gioco duro in “From Womb To Waste”, dove viene invitata a partecipare anche la furia della batteria, che si aggrega con disinvoltura nel gioco ritmico indetto da Beasley e Gallagher. “Dissidence” passa abbastanza anonima dopo il riff iniziale e “In The Trenches” sembra proseguirne le orme, ma uno scatto felino la riporta ‘a temperatura’, questa volta con la batteria che fa il gioco sporco, ricambiando il favore e istigando le controparti a unirsi per colpire ferocemente. Colpi inflitti con gran maestria in “Devout Atrocity”, emblema di “Reign Supreme” – a mio avviso – , dove l’intro chitarristico è di quelli da annali della musica, così come il riffing e la cadenza nella ‘sezione’ Beasley, tipica dell’atroce Max Cavalera. Gallagher stempera momentaneamente il massacro con l’intro neo-melodica in “Revisionist Past”, degna del Malmsteen dei tempi passati, mentre la conclusiva “The Blood Of Power” nulla di nuovo aggiunge alla struttura di questo settimo capitolo targato Dying Fetus. Neanche lo scontato solo melodico di chitarra, così come il finale in fader che non rende giustizia ai trentanove minuti di “Reign Supreme”.

“Reign Supreme” che vede sfatare anche miti e tabù che ormai seguivano il combo nel corso della loro discografia: i titoli a tre parole e le tracklist di otto brani erano diventati una sorta di marchio di fabbrica per la band. ‘Erano’, perché con questo nuovo disco il combo di Annapolis saluta le statistiche, non solo inserendo una traccia in più rispetto ai platter passati, ma accorciando il titolo in sole due parole… pertanto gli appassionati di numeri e statistiche possono iniziare a pensare che il totale di tracce e titolo sia sempre undici, quindi dal prossimo capitolo della saga avrete nuovi elementi per analogie e simbolismi. È sicuramente l’ennesima scarica di adrenalina che Gallagher e soci – nel bene o nel male – , riescono sempre a trasmetterci, come regola fissa del gioco iniziato sedici anni fa, che li accompagna come un marchio di fabbrica che tiene viva la propria identità.

Gli equilibri musicali e sonori sono eccellenti, così come lo sono nel complesso le composizioni, intrigate ed enigmatiche, che rendono il gioco più affascinante e mettono ogni volta alla prova l’ascoltatore. Adesso il gioco sta per iniziare: fate la vostra scelta.

Vittorio “VS” Sabelli
 

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Tracce:
1. Invert The Idols 2:05
2. Subjected To A Beating 4:53
3. Second Skin 4:42
4. From Womb To Waste 4:57
5. Dissidence 3:28
6. In The Trenches 3:45
7. Devout Atrocity 4:28
8. Revisionist Past 3:57
9. The Blood Of Power 5:23

Durata 39 min.

Formazione:
John Gallagher – Voce/Chitarra
Sean Beasley – Basso/Voce
Trey Williams – Batteria

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