Recensione: Rengeteg

Di Tiziano Marasco - 6 Gennaio 2016 - 8:20
Rengeteg
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2011
Nazione:
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87

Dal 2011 non è passato molto tempo, ma l’Ungheria si è trasformata eccome. Solo un anno prima c’era stato Kolontár; le elezioni avevano portato un partito neonazista in Parlamento e la destra conservatrice al governo – dove ancora rimane. Il paese si era chiuso a riccio, più di quanto lo fosse mai stato dopo il 1989, e le conseguenze si erano viste – i prezzi salgono ancora oggi, gli stipendi no. L’Ungheria, ad oggi, rimane la brutta copia del paese in ascesa che era stato dalla fine del socialismo.

Che queste trasformazioni, iniziate, a ben guardare, nel 2006, abbiano prodotto dei cambiamenti nella vita di Tamás Kátai, mastermind dei Thy Catafalque, è lecito presumerlo ma non è neanche possibile dichiararlo con certezza. Fatto sta che proprio in quei anni il nostro prese la decisione di lasciare la Puszta per le Highlands, trasferendosi a Glasgow. ¨Di conseguenza i Thy Catafalque si ritrovarono, dal duo che erano, una vera one-man band con ospiti illustri.

A dispetto di questo cambio di formazione, rimane il fatto che il non-più-combo magiaro aveva una carriera in discesa, i cui binari erano stati tracciati nei precedenti due album, Róka Hasa Rádio e Tunó Idő Tárlat, lavori improntati alla ricerca avanguardistica ed elitaria che fondeva black metal atipico (poco) ed elettronica ambient chill-out (parecchia). A livello strutturale si nota subito un elemento interessante, vale a dire una sola canzone al di sopra dei 10 minuti – di solito i dischi dei Thy Catafalque mettono sempre sul piatto una traccia oltre i 10 e una in prossimità dei 20.

Semplificazione? Forse. E già dalla opener Fekete mezök si nota qualcosa. Una base di drumming e chitarre a zanzara tipicamente black immersa in esondazioni di tastiere sintetiche sulle quali si inserisce una strofa in clean melanconica e drammatica, di molto facile impatto. Il pezzo, di circa 9 minuti, mette dunque in luce una componente melodica molto più accennata rispetto al passato, componente che emerge ad ogni modo all’interno di una specie di suite molto frammentaria, ostica, piena di cambi di ritmo, eppure sempre in pieno stile catafalco.

Cambiano le cose invece nei due meravigliosi pezzi successivi, Kel keleti szel e Trilobita, due pezzi che prendono il meglio, il lato più melodico della burrascosa opener, dandogli forma da singoletto radiofonico, facile, eppure carichi d’inquietudine. Due mazzate che catturano testa e orecchio in una mazzata sola e due classici, a mio parere, dell’entità magiara, che in queste due sedi si avvale delle due collaudatissime partecipazioni di Attila Bakos e Ágnes Tóth. Le atmosfere si diradano, nasce l’oasi di pace e semi strumentale di Kő koppan, pezzo sommesso, quasi bucolico, dominato da un unico giro di tastiera, malinconico, e pure anche esso molto irrequieto. Segue un altro pezzo estenuante, tra il burrascoso e il tranquillamente irrequieto come Vashegyek, pezzo impegnativo che pure dopo i primi ascolti si lascia ascoltare a dispetto del suo quarto d’ora di durata, mentre Holdkomp, che pure torna ad atmosfere semipacifiche, si lascia notare per un cambio linguistico – dall’ungherese al russo.

E così vanno oltre anche le ultime tre tracce, ora virulente ed ora tranquille. Ciò che però, al solito, contraddistingue i lavori del catafalco, è sempre quell’elemento da folk della puszta, quel misto di metal ed elettronica non sarebbe così unico ed inconfondibile non fosse per il violoncello di Mihály Simkó-Várnagy e per quei ritmi saltellanti, quelle melodie da Csárdás.

Ci troviamo dunque innanzi ad un album a tutta prima assai ostico e carico di cambi di ritmo, eppure estremamente omogeneo nei toni e nei ritmi, un’opera grandiosa che mantiene fede al suo titolo – Rengeteg in ungherese ha molti significati, sicché così isolato non risulta di facile traduzione. Qualcosa di grandioso, ridondante, di moltitudinoso. Peraltro i testi sono disponibili, eccetto quello di Holdkomp, qui su darklyrics.

Strano a dirlo, dunque: il primo disco dei Thy Catafalque intesi come one man band con molte illustre compartecipazioni è forse il miglior album ad oggi emesso dal progetto ungherese. E teniamo conto che la creatura del Katai è sempre viaggiata su binari molto originali e di qualità elevatissima. Rengeteg non cambia le carte in tavola per quanto riguarda un confronto con le due prove precedenti. Introduce però elementi accattivanti, di facile ascolto, pur senza snaturare l’elitismo avanguardistico della proposta magiara. Ne viene fuori un’opera al solito inconfondibile, indiscutibilmente frammentaria, eppure una montagna russa molto godibile, una volta rotta la scorza dei primi ascolti. Un lavoro di enorme levatura, che conferma i Thy Catafalque tra le voci più originali del metal europeo e pone Rengeteg tra i migliori dischi usciti nel decennio in corso.

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