Recensione: Resurrection
Toh! Chi si rivede, oopppsss… chi si risente! Il vecchio Marco “Mark” Paganini, frontman (ex Viva) proveniente dalla vicina Svizzera che assurse alle cronache negli anni ottanta per alcuni lavori tiepidamente interessanti di hard’n’roll stagionato e la sua militanza nei Tygers of pan Tang, eroi della Nwobhm. Resurrection, dal titolo MOLTO impegnativo (ricordo l’omonimo album dei Venom del 2000… un flop colossale!) altro non è che un best of di quanto realizzato dal Nostro sia con i Viva che con i Paganini durante gli eighties. Ho sempre nutrito sospetti verso le raccolte e soprattutto certi live album che come fulmini a ciel sereno irrompono nella discografia dei gruppi. Spesso si tratta infatti di maldestri tentativi di rimpinguare le casse dell’etichetta e della band stessa, e questo Resurrection ne è l’ennesima conferma.
In momenti di crisi creativa, cosa c’è di meglio che pubblicare un disco con al proprio interno i pezzi di un brillante(???) passato risuonati da una line-up nuova di zecca? Come ammonisce lo sticker appiccicato in copertina, gli unici pezzi che si salvano sono quelli citati: Long Way to the Top, Berlin by Night, Weapon of Love e Time. Il resto è da dimenticare: non convincevano al 100% le versioni originali, figuriamoci ora dopo la cura di “modernizzazione” e con un Paganini dall’intonazione più sporca e meno potente… Il rock’n’roll lurido e stradaiolo con richiami agli anni settanta si può fare in ben altro modo, come ci hanno insegnato L.A. Guns, Guns n’ Roses e i nostri compatrioti Miss Daisy.
Già Caro Mark: non basta scimmiottare Ac/Dc e Alice Cooper per tutta la durata del disco e mettere in copertina una foto del gruppo con l’espressione da duri, brutti e sempre incazzati. Nel mercato iperinflazionato di oggi questo Resurrection è destinato a rimanere per tempo immemore negli scaffali dei negozi di dischi.
Stefano “Steven Rich” Ricetti