Recensione: Retribution

Di Matteo Bovio - 6 Giugno 2003 - 0:00
Retribution
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Anno: 1992
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95

Sicuramente esiste una sorta di divario tra la prima parte della carriera dei Malevolent Creation e l’ultima. Forse solo il loro recentissimo The Will To Kill ha saputo colmare in parte questo sbalzo; la differenza non sta certo nella qualità, quanto nelle specifiche scelte stilistiche che hanno caratterizzato le varie fasi della vita di questa band. Per questo trovo sia molto difficile azzardare quale possa essere in definitiva il loro miglior lavoro. Ma se a freddo dovessi scegliere tra lo stile di Retribution, la violenza di Eternal o la maestosità di In Cold Blood credo che sarebbe proprio il primo quello su cui cadrebbe la mia scelta. Il loro secondo lavoro, un cd nel quale mille influenze sono ancora mischiate e faticano ad emergere in una ben precisa identità, ma che ad ogni ascolto lascia stupiti per la grandissima classe. Qui troviamo incisi alcuni dei tanti capolavori che hanno reso grande il loro nome (mai quanto sarebbe giusto…), ma soprattutto troviamo l’immagine di un gruppo deciso ad essere il migliore nel proprio genere.

La storia del Brutal americano non gli darà ragione, li metterà sempre in secondo piano rispetto ad altri nomi, ma ciò non toglie nulla alla mia convinzione nell’affermare che questo cd è stato uno dei più decisivi nella definizione di uno stile, nel creare uno standard che nel futuro avrebbe fatto da guida per molti acts. In Retribution un riffing di sana matrice Death incrocia tempi e ritmiche estreme al punto giusto da poter essere definite Brutal; niente ostentazioni, niente facili attrazioni meramente tecniche, il gruppo ha ben altri doti da mettere in campo e certo non vi rinuncia. Nella testa di Phil Fasciana c’è ancora un certo modo di suonare death metal (che sopravviverà a lungo): ci sono ancora le intenzioni di essere non solo violenti e chirurgici, ma anche malvagi, oscuri, a proprio modo assatanati! L’intro di “Eve Of The Apocalypse” ci introduce in questa filosofia e mentalità, abbandonandoci poi completamente alla furia di 9 brani stupendi. Qui forse raggiungiamo il massimo apice compositivo, con degli stacchi destinati ad essere una vera e propria droga per ogni fan di questo gruppo.

Ma sarebbe banale ridurre questo album al singolo capolavoro che è l’opener, come spesso è stato fatto. 34 minuti aspettano solo di essere scoperti in ogni loro dettaglio, a partire dalle ritmiche di fuoco di Alex Marquez per finire con le ottime doti del singer Honfmann. Se in campo non mette grande potenza o timbriche da far rizzare i capelli, è invece lo stile la sua arma vincente: buone variazioni timbriche (ed utilizzate con maestria) si accompagnano a quella che forse è la sua più grande caratteristiche, ossia la scelta metrica… Sentite l’inizio “Slaughter Of Innocence” e tutto vi sarà chiaro: la voce si incastra tra le parti ritmiche come un vero e proprio strumento, riuscendo (spero) a far zittire anche il più accanito contestatore di growling e simili…

Le loro canzoni sono, come sempre, poco lineari, ma non per questo discontinue; brani come “Coronation Of Our Domain” o “Mindlock” al contrario stupiscono per la loro intelligenza compositiva, che non da all’ascoltatore modo di perdersi. Riffing veloci si alternano a fraseggi particolari, cosa che li distingue nettamente dai gruppi a cui da sempre vengono accostati (Deicide in primis), ponendoli a parer mio ad un diverso (non necessariamente migliore) livello compositivo.

In Retribution c’è tutto: c’è tecnica, c’è aggressività, ma prima di tutto c’è spirito… Una componente che abbandona troppo spesso il sentiero del Death metal, quasi che ci si fosse dimenticati di quei grandi album come Hate, Slowly We Rot, Altars Of Madness, e chissà quanti altri potrei citarne; lavori diversi che in sè hanno tutti una caratteristica comune… la capacità di evocare, la capacità di essere Death metal. Voglio dunque arrogarmi il diritto di inserire nell’elenco questo immenso lavoro, che a discapito di quanto il mondo riconoscerà ai Malevolent Creation è una delle maggiori espressioni delle potenzialità di questo genere.
Matteo Bovio

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