Recensione: Return to the Void

Di Daniele D'Adamo - 18 Luglio 2017 - 16:37
Return to the Void
Band: Execration
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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78

Una volta di più, la Norvegia si dimostra Madre di una band che, rispetto alla moltitudine, ha qualcosa in più nel proprio DNA. Bastano poche parole, insomma, per definire quanto di buono abbiano fatto gli Execration con il loro ultimo lavoro in studio, “Return to the Void”, il quarto in carriera. 

Il breve incipit strumentale che apre il disco lascia subito spazio, difatti, all’eccellente sound di ‘Eternal Recurrence’, opener-track ideale per sciorinare qualcosa piuttosto difficile da definire. Trattasi sicuramente di metal estremo ma così vario e ricco di personalità da far sembrare riduttiva ogni possibile classificazione.

Linee vocali in primis, assolutamente lontane dal solito growling, anzi. Ricche di pathos ma non solo. Capaci di andare a pescare sonorità antiche, arcaiche. Quando, sostanzialmente, il modo di cantare era uno solo: quello che prevedeva l’uso dell’ugola senza tecnicismi artificiali, lasciandone intatte le asperità e la ruvidezza. Assumendo dei toni stentorei e rabbiosi, certo, tuttavia intonati sulla naturale inclinazione della voce. Anche se negli Execration in realtà le voci sono due, quelle dei due chitarristi, Chris e Jørgen, il discorso non si sposta di una virgola.

Se si può pensare di avere a che fare con una band di post-NWOBHM, però, mazzate sulla schiena come ‘Hammers of Vulcan’ non lasciano dubbi a diverse interpretazioni: il quartetto di Oslo pesta come un ossesso lambendo in tutto e per tutto il territorio del death metal, non disdegnando, fra l’altro, di superare la sfera del suono con bordate di blast-beats. Resi possibili da una sezione ritmica furibonda, veemente, possente e massiccia. Molto in linea con il trend stilistico dettato da chitarre e voci.

Chitarre. Un po’ come gli svedesi Vampire, forse, davvero, unici punti di riferimento per trovare qualche analogia con gli Execration, il riffing è qualcosa di fenomenale. Retta da una fedeltà inossidabile ai cinetismi da alta velocità, la sequenza degli accordi è una vera delizia per il palato o meglio le orecchie dei buongustai. Rapido e sciolto, il guitar-work offre innumerevoli spunti di interesse, numerosissimi passaggi d’alta scuola metal. Ecco, sì, metal. Perché, in fondo, proprio di questo si tratta. Death e thrash sono definizioni, più la prima, come accennato, che alla fine si adattano come possono allo stile dei Nostri che, però, è dannatamente metal. Sino al midollo. Seppur moderni e totalmente in linea con i tempi che corrono, gli Execration rappresentano un baluardo inespugnabile del metal. Quello vero, classico, ortodosso, lontano da fuorvianti elaborazioni, da sospette contaminazioni. 

Metal, punto e basta.

Buono anche il songwriting che, come impostazione, segue quella dello stile, formando nove song parecchio movimentate, variegate, presentanti anche delle durate diverse. Il focus pare essere principalmente la mobilità e la voglia di proporre sempre qualcosa di diverso, vedasi per esempio le due suite ‘Cephalic Transmissions’ e ‘Unicursal Horrorscope’, ricchissime di cambi di tempo, di catene di riff travolgenti, di capovolgimenti di fronte, di cantati molto diversi fra loro. 

Si potrebbe a questo punto pensare a una dispersività delle caratteristiche fondamentali del sound, data la sua poliedricità, ma ciò non accade: gli Execration restano sempre se stessi, lungo tutto l’arco di durata di “Return to the Void”.

Merito innegabile di un talento che la Metal Blade Records ha saputo intravedere con lungimiranza e che merita senz’altro di essere apprezzato dai più.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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