Recensione: Rise of the Phoenix

Di Alessandro Calvi - 25 Giugno 2012 - 0:00
Rise of the Phoenix
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Anno: 2012
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55

“Anno nuovo, disco nuovo” si potrebbe dire, quando si parla dei Before the Dawn. Giunta al settimo full-lenght in meno di 13 anni, la band di Tuomas Saukkonen può di diritto essere annoverata tra i gruppi più prolifici in ambito metal (e non solo). Non che, poi, lo stesso mastermind e fondatore se ne stia con le mani in mano, anzi! Tra partecipazioni e collaborazioni ad altri dischi, per non parlare dei gruppi di cui fa parte in pianta stabile (Black Sun Aeon, RoutaSileu, The Final Harvest, nonchè ex-Bonegrinder, ex-Dawn of Solace, ex-Jumalhämärä ed ex-Rajavyöhyke), Saukkonen potrebbe forse trovare un posto nel Guinness dei Primati.

Purtroppo, come spesso accade, tanta prolificità non è sempre coincisa con altrettanta qualità. Non che le vicissitudini della compagine siano poi state tra le più semplici e lineari. Tra i vari e continui cambi di line-up, le rifondazioni, i frangenti come one-man-band, etc. i Before the Dawn non hanno certo goduto di ottima salute. Eppure proprio questo andirivieni avrebbe dovuto portare un sacco di idee, di influenze, di stili diversi al sound del gruppo.
Invece, di tutto ciò, non c’è praticamente traccia nei sette platter che han composto, fino a qui, la loro storia discografica.
Che la band sia una creatura di Saukkonen è fuor di dubbio, ma questo più che un elemento distintivo è, ormai, piuttosto un limite. Certo, alcuni elementi gothic presenti su quel primo “My Darkness” son un retaggio del passato, così come una certa cupezza di fondo presente soprattutto nei testi. Da qualche disco a questa parte si respira un’aria che potrebbe quasi definire “più allegra”, il che riflette anche in riff più ariosi e passaggi più melodici. Ma, in realtà, a ben vedere, non è poi cambiato molto in tutti questi anni. La base era, ed è rimasta, quella di un death melodico alla In Flames che non si è evoluto in tutti questi 13 anni, rimanendo sostanzialmente uguale a se stesso e ai clichè del genere senza quasi alcun apporto personale od originale.
Rispetto a “Deathstar Rising” son scomparse le parti in voce pulita (anche perchè se ne è andato proprio chi le eseguiva, cioè il bassista Eikind) e questa è la sola novità di rilievo, perchè il resto è una copia pressochè identica del precedente CD. Così come quello assomigliava al disco che era venuto prima di lui, e via così fino al primo album che, a sua volta, riprendeva a piene mani dal sound e dalle soluzioni compositive del death melodico finlandese più commerciale.
I Before the Dawn, insomma, non hanno mai inventato nulla e, a questo punto, difficilmente lo faranno. Eppure, uscita dopo uscita, continuano a riscuotere un certo successo e una buona dose di consensi (anche da parte di una fetta della critica specializzata). D’altra parte, se non fosse così la Nuclear Blast avrebbe già scaricato il gruppo e il suo fondatore. Il motivo di tutti questi dischi venduti, probabilmente, è da ricercarsi principalmente nel fatto che quello che fanno lo fanno bene. Non sono album che passeranno alla storia, ma quelli dei Before the Dawn son CD (almeno gli ultimi) che non annoiano, che continuano a girare nello stereo senza stancare e riuscendo a regalare, qui e là, anche qualche momento più ispirato.
Quello che bisognere domandarsi, però, è: “può essere sufficiente?”.
Può essere sufficiente che un disco non annoi e che sia la summa dei clichè di un intero sotto-genere musicale, per decidere di comprarlo? Soprattutto può essere sufficiente visto il costo che i CD hanno raggiunto? A nostro avviso, in un mercato ormai subissato di prodotti fin troppo simili tra loro, che a volte si distinguono più per la produzione che per l’effettiva proposta musicale, bisognerebbe fare di più. Meraviglia, dunque, che i Before the Dawn siano riusciti a giungere addirittura al traguardo della settima uscita e a non venir spazzati via dal mercato molto prima. Onore, quindi, a loro e alla caparbietà con cui hanno portato avanti la loro idea di cosa suonare, ma questa è l’unica lode che possiamo fargli, per il resto il consiglio è di rivolgersi altrove.

Per concludere: i Before the Dawn con “Rise of the Phoenix” si confermano, per la settima volta, per ciò che sono. Una conferma per la critica e per i fan. Una conferma per chi non li aveva apprezzati in precedenza, e continuerà a non apprezzarli neanche in questa occasione. Una conferma per chi ha acquistato tutti i loro CD fino ad ora, sicuro che non verrà deluso dalla loro nuova uscita, in quanto identica alle sei precedenti. Per noi tutte queste “conferme” non sono sufficienti, ma probabilmente è tutta questione di punti di vista.

Tracklist:
01 Exordium
02 Pitch-Black Universe
03 Phoenix Rising
04 Cross to Bear
05 Throne of Ice
06 Perfect Storm
07 Fallen World
08 Eclipse
09 Closure

Alex “Engash-Krul” Calvi

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