Recensione: Rise Up

Di Fabio Vellata - 9 Marzo 2013 - 0:00
Rise Up
Band: W.E.T.
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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82

Work of Art, Eclipse, Talisman.

In una sola parola W.E.T.”,  una creatura musicale spuntata a turbare i sogni degli amanti di rock melodico sul finire del 2009 con l’uscita di un disco omonimo dalla bontà quasi irresistibile, infarcito sino all’orlo di tutte le qualità necessarie a rendere da manuale un’opera di settore.
Melodie ariose, cori assassini, impasto sonoro inequivocabilmente eighties, chitarre e tastiere legate in modo indissolubile. Il tutto sovrastato da una voce da dio dell’Olimpo.
Un side project maturato d’improvviso, che aveva lasciato senza fiato e stupiti per la capacità di miscelare in un colpo solo caratteri per molti destinati a rimanere il miraggio lontano e chimerico di un’intera carriera, tanto da renderne pressoché scontata – almeno nelle supposizioni – la natura impareggiabile e di difficile seguito.

Almeno, nelle supposizioni.

Inizio 2013, primavera in calendario, freddo ancora intenso.
Le notizie narrano di crisi economiche e difficoltà politiche: grandi incertezze.
Piccola, minuscola, infinitesimale soddisfazione, se rapportata a tali grandi temi: quel dischetto datato 2009, con la copertina un po’ anonima ed una sostanza di straordinaria ed orgogliosa gagliardia hard rock, non era per nulla irripetibile e frutto del caso. L’alchimia era solida, gli ingredienti di valore assoluto e la ricetta destinata a fornire ancora esiti di buona qualità.
Ne abbiamo la prova da qualche settimana: si chiama “Rise Up”

Erik Mårtensson, Robert Sall e soprattutto, il grande, straordinario ed inimitabile Jeff Scott Soto, si affacciano nuovamente in questo principio di 2013 con un seguito al fulminante esordio di tre anni fa che, pur adagiandosi in minima parte sulle conferme ottenute, profuma ancora di gloria ed infinita classe, lanciandosi nell’orbita celestiale del paradiso fatto di note, con le medesime ed immutate caratteristiche dell’eccellente predecessore.
Difficile mostrarsi troppo critici o tentare esercizi di improbabile pignoleria quando l’abbondanza di meriti si presenta in tante e tali fogge: il reiterarsi di una formula vincente scontenterà forse alcuni, portando a tacciare di presunto “manierismo” o di inopportuna “mosceria” il magnifico terzetto, ora un pelo adagiato sulle proprie posizioni.
Appare in ogni modo complicato, ancora una volta, definire il progetto W.E.T. qualcosa meno di “esemplare”: manifesto della migliore scuola melodic rock, si propone – anche in questa seconda uscita – forte di una tradizione antica, fascinosa ed elegante, capace tuttavia di rifuggire qualsiasi tentazione archeologica dai sapori ammuffiti o stantii.
Passione rosso fuoco, energia testosteronica a profusione ed impasto sonoro accattivante, immediato ed avvolgente si rincorrono in una miscela che, con regolare frequenza, manda a segno un nucleo di tracce costantemente puntate verso l’alto, spesso piacevoli all’orecchio, talvolta sontuosamente godibili ed in un paio di casi almeno, superiori sotto ogni punto di vista.

Aperto con grande enfasi dalle tonanti e drammatiche “Walk Away” e “Learn To Live Again”, il nuovo prodotto “made in WET” riesce ancora a veicolare emozioni nel migliore dei modi, attraverso un binomio di brani che suscita ennesimi commenti positivi al riguardo della grande preparazione di Erik Mårtensson – top player assecondato da una band di notevole spessore – e della grandissima voce del divino JSS, singer di caratura semplicemente galattica per stile, carisma, timbro, espressività e tecnica interpretativa. Definiamolo come merita: “fuoriclasse”.

È in ogni modo con tracce come “Love Heals”, “What You Want” e “Broken Wings”, che “Rise Up” effettua il salto di qualità autentico, riuscendo ad affacciarsi agli esiti del terremotate debutto.
Armonie cariche di calore emotivo, trascinate verso l’alto da cori che coinvolgono i sensi in un turbine di percezioni quasi primaverili, abbracciano l’ascoltatore garantendo effetti onirici degni dei proverbiali “sogni ad occhi aperti” tipici del tradizionale e quasi mitologico “AOR Heaven”.
Non mancano, come ovvio, sprazzi di energia e vigore, espressi nelle ottantiane “Bad Boy”, “On The Run” e “Still Unbroken”, episodi dotati di una colorazione forse più tenue se rapportati ad alcuni passaggi del capitolo targato 2009 che, tuttavia, mantengono intatti i segni tangibili di una classe superiore e per certi versi sovrastante.

Chiuso in modo degno dalla grandiosa ballad “Still Believe” (un pezzo marchiato a fuoco ancora una volta dalle magnifiche corde vocali di JSS) e dalla ariosa “Still Unbroken”, il nuovo prodotto ad opera del trio Work Of Art/Eclipse/Talisman mantiene in buona sostanza inalterato il giudizio sulla bontà di un side project solo all’apparenza estemporaneo, divenuto, nella sua seconda incarnazione, una vera band in qualche misura più vicina all’AOR e dai risvolti vagamente più modernisti.

Un album, insomma, che – pur se con risultati in minima parte inferiori rispetto al grande precursore – porterà in alto anche in questa annata il nome di tre ottimi artisti quali Jeff Scott Soto, Erik Mårtensson e Robert Sall, trio capace di comporre, sin qui, una sorta di ipotetico – quanto credibile – manuale del rock melodico del nuovo millennio.

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Tracklist:

01. Walk Away
02. Learn To Live Again
03. Rise Up
04. Love Heals
05. What You Want
06. The Moment
07. Bad Boy
08. On The Run
09. Broken Wings
10. Shot
11. Still Believe
12. Still Unbroken

Line Up:

Jeff Scott Soto – Voce
Erik Mårtensson – Chitarre / Cori / Tastiere
Robert Säll – Tastiere / Chitarra
Magnus Henriksson – Chitarra
Robban Bäck – Batteria

 

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