Recensione: Ritual

Di Vladimir Sajin - 8 Novembre 2018 - 0:01
Ritual
Band: Soulfly
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2018
Nazione:
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75

When you’re facing the end
Your pilgrimage begins
Order out of chaos
Order from disorder

 

Lo sciamano Max Cavalera ci invita alla consueta cerimonia con il suo nuovo ”Ritual”: la notte è giovane, il fuoco è acceso, l’aria è piena dell’odore d’incenso e di carne bruciata, il tamburo suona, ritmicamente, scandisce il tuo ritmo cardiaco. A ogni battito sei sempre più solo, è sempre più buio, un buio cosmico, che ti riconcilia con tutto il creato, con l’universo. E d’improvviso non sei più solo, sei insieme al mondo intero che ti dà coraggio, e salti, balli, ti lasci andare, scacci via ogni paura. Finalmente sei dentro di te, sei solo con te stesso, con l’infinito interiore, con il tuo personale paese delle meraviglie. Intuisci che il sacrificio da compiere per essere liberi è come accettare di pagare un prezzo prestabilito per mantenere la propria integrità. Vedi le cicatrici secolari della tua anima, create da un’eterna guerra di compromessi che non puoi vincere. Comprendi allora che ad ogni punto d’arrivo corrisponde un nuovo punto di partenza. Apri gli occhi, senti di nuovo l’eterno suono del tamburo che scandisce ogni battito del tuo cuore, lo stesso intenso profumo, la stessa notte ma non più giovane, e anche tu sei lo stesso, con più domande che risposte e la testa che ti scoppia. Possiedi però la confusa consapevolezza di aver tracciato un nuovo percorso, tutto da esplorare. Si conclude così questa arcana ricerca per trovare un ordine attraverso il rituale del disordine. Questo viaggio allegorico riassume in forma poetica l’immersione musicale che ci può donare quest’ultimo lavoro dei Soulfly.

 

Max Cavalera è un personaggio fondamentale nel panorama metal mondiale, soprattutto per aver fondato insieme al fratello Igor i mitici Sepultura, formazione che rimane un’istituzione e un punto di riferimento nel genere e nel panorama Metal mondiale. Nel 1997 Max abbandona i Sepultura per creare una propria band, e la chiama Soulfly. Un progetto musicale che ha avuto anch’esso molto successo negli anni, guadagnando una propria personalità e una grandissima schiera di fan in tutto il mondo, nonostante qualche lieve scivolone negli anni passati. La vera crisi di identità creativa arriva con il famigerato “Savages” del 2013. Un album che ha deluso buona parte dei fan, tanto da far pensare all’inizio del declino di Max e la sua band, complice anche l’ennesimo cambio di formazione e l’ingresso in line-up del figlio Zyon alla batteria, probabilmente non ancora pronto a una dimensione come quella dei Soulfly. Ma a risultare scarico, poco ispirato e completamente fuori rotta è soprattutto lo stesso Max e, stranamente, insieme a lui anche l’incommensurabile Marc Rizzo, da sempre un perno del gruppo con la sua sei corde. Nel 2015 esce “Archangel” un album che ha il durissimo compito di far risorgere i Soulfly. Obiettivo che riesce solo in parte, il legame con il lavoro precedente è ancora evidente e in questo caso soprattutto il giovane Zyon alle percussioni risulta essere decisamente fuori luogo. Un giovane assolutamente talentuoso, che vuole ritagliarsi un proprio posto cercando di creare un suo sound personale. L’intento è facilmente percepibile ma il risultato finale… Un risultato che arriva quasi a sorpresa proprio con ”Ritual”, loro ultimo album e disco oggetto della nostra recensione. Vorrei partire proprio da questo punto per iniziare ad approfondire l’ultima fatica in studio dell’instancabile Max Cavalera. La batteria riveste un ruolo fondamentale e funge da colonna portante nel sound creato dai Soulfly. In quest’album, finalmente, troviamo un suono della batteria all’altezza della situazione, che torna a svolgere il suo fondamentale compito nella struttura musicale della band. Stupefacente come in soli due anni il giovane Zyon abbia raggiunto la propria maturità e sia finalmente in grado di guidare il vulcano sonoro del proprio gruppo.

 

Detto questo, iniziamo il nostro viaggio sviscerando quest’ultimo rituale della nostra anima in volo partendo dalla title track ‘Ritual’, che già dalle sue prime note mette in chiaro molte cose. In primo luogo ritroviamo i tipici suoni tribali che caratterizzavano in passato le atmosfere dei Sepultura, evidenziate sopratutto nel mitico ‘Roots’ del 1996, ma anche negli stessi Soulfly lungo quasi tutto il loro percorso discografico. A colpire maggiormente è il suono della chitarra distorta che ci catapulta direttamente a “Prophecy” del 2004, album che rappresenta la massima estrosità di Max Cavalera nell’era Soulfly. Il brano prosegue carico e ispirato come ai vecchi tempi. Finalmente possiamo esclamare: “I Soulfly sono tornati!”. Il secondo brano, ‘Dead Behind The Eyes’, vira verso le sonorità più death, molto care ai Nostri soprattutto nel periodo di maggior splendore della band, inoltre troviamo al microfono, insieme a Max, un ospite d’onore di tutto rispetto come Randy Blythe dei Lamb of God. Un brano come non si sentiva dai tempi di ”Dark Ages”, insomma. Con la traccia successiva, ‘The Summoning’, sconfiniamo invece in un altro capitolo appartenente all’età d’oro dei Soulfly: ci troviamo nei territori di “Conquer”, con un riuscitissimo mix tra Black/Death e Thrash Metal, pieno di atmosfere arcane e tenebrose, sostenute da una bellissima e violentissima valanga sonora. Il brano successivo, ‘Evil Empowered’, è uscito come singolo molti mesi prima della pubblicazione del disco, per questo è un brano sicuro di sé, diretto e perfetto per il ruolo da apripista che gli è stato affidato. Sottolinea anche un’ottima prova del frontman al microfono, che da anni non si presentava in una forma così smagliante. ‘Under Rapture’ vede la partecipazione di Ross Dolan, vocalist e bassista degli Immolation. Qui troviamo un esempio perfetto dell’ottima forma di tutta la band: Marc Rizzo alla chitarra come non si sentiva dai tempi di “Omen”, il già citato figliol prodigo Zyon Cavalera che finalmente giustifica e ripaga la fiducia riposta in lui dal padre Max. Insomma, un brano che richiama alla mente la potenza e la violenza dell’album citato poc’anzi. Ho volutamente associato i precedenti brani ai lavori più importanti della discografia della band, in modo da sottolineare la ritrovata e smagliante forma di tutta la formazione. A questo punto penserete che abbiamo già sentito e detto tutto. Ed è proprio qui che arriva il brano probabilmente più riuscito di tutto il disco: ‘Demonized’. È un pezzo raffinato e violento allo stesso tempo, che ritrova quell’anima tipicamente thrash tanto apprezzata nei loro lavori più riusciti. Una delizia fatta di brutale ed elegante potenza sonora, che ti travolge e ti trasporta come un fiume in piena nelle sue torbide acque. Con l’accoppiata ‘Blood on the Street’ e ‘Bite the Bullet’ torniamo agli esordi di Max Cavalera, che strizza l’occhio alle sue origini musicali con i primi Sepultura, la stessa potenza ancestrale, un’atmosfera tribale e una intensa ispirazione. Alla fine dell’album troviamo un bellissimo tributo al carissimo Lemmy dei Motörhead, che ci ha lasciati nel 2015. Si tratta di ‘Feedback!’, un brano che inizialmente sembra una cover della mitica ‘Ace of Spades’ ma che successivamente devia verso le sonorità più tipicamente Soulfly, acquisendo una propria identità molto interessante e sperimentale, ottima trovata, complimenti! Chiude il disco l’immancabile ballata strumentale e rilassante che ci accompagna dalla prima uscita discografica della band, giungendo così alla conclusiva ‘Soulfly XI’.

 

Con quest’ultima fatica dell’immortale Max Cavalera possiamo dire che i Soulfly hanno ritrovato la retta via. Ovviamente non ci troviamo di fronte a un lavoro paragonabile ai vecchi capolavori con cui i Nostri dovranno purtroppo sempre fare i conti. Ma considerando il recente ed infausto passato della band, e senza fare inutili paragoni con i loro lavori precedenti, ci troviamo di fronte un ottimo album come non si è sentito da anni: diretto, secco e ispirato. Ci auguriamo che il nostro sciamano preferito abbia in serbo per noi altri ottimi rituali come questo, magari anche un po’ più autentici e coraggiosi, ma fatti dalla stessa rinvenuta ispirazione.

 

Vladimir Sajin

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