Recensione: Ritual

Di Alessandro Calvi - 14 Luglio 2002 - 0:00
Ritual
Band: Shaman
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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90

Eccoci finalmente a recensire uno dei dischi più attesi di quest’anno: Ritual, il primo disco degli Shaman.

Gli Shaman nascono dopo il vero e proprio terremoto avvenuto all’interno degli Angra, il gruppo infatti circa un anno fa subì un semi scioglimento, vedendo cantante, bassista e batterista andarsene dal gruppo lasciando il nome Angra ai due chitarristi. Gli Angra furono praticamente rifondati e il loro nuovo disco dopo i fatti appena narrati è uscito non molto tempo fa dal significativo titolo di Rebirth. Dall’altra parte Andrè Matos, la storica voce degli Angra e uno dei migliori cantanti della scena metal mondiale, il bassista Luis Mariutti e il batterista Ricardo Confessori si organizzarono e fondarono un nuovo gruppo chiamato appunto Shaman. E questo Ritual è il loro primo disco.

Ovviamente non si tratta di gente alla prima esperienza e subito al primo ascolto molte sonorità tipicamente Angra si fanno sentire, la voce così caratteristica di Andrè poi non può che riportarci subito alla mente i dischi della sua band precedente. In effetti i riferimenti sono davvero tanti e non potrebbe essere altrimenti visto che i tre quinti degli Angra sono qui, questo a dir la verità solleva anche un altro quesito. E’ di ardua sentenza infatti decidere se i veri Angra successivi al divorzio siano coloro che ne portano il nome oppure il gruppo chiamato Shaman. Entrambi i gruppi infatti sembrano portare avanti un discorso cominciato con il gruppo iniziale, anche se in maniera diversa.

Ma su questo argomento potremmo andare avanti a discutere a lungo, forse anche all’infinito, senza probabilmente trovare una risposta, meglio quindi passare subito a parlare del disco e lasciare a voi l’ardua sentenza.

L’album si apre con un pezzo strumentale che ci cala subito nello spirito di quello che potrebbe quasi essere considerato un concept. Tutte le canzoni infatti sembrano essere ispirate o riferite in maniera più o meno diretta alla magia, in particolare alla magia dei rituali (come dice il titolo stesso…) e degli sciamani. Nell’iniziale Ancient Winds infatti sentiamo anche in lontananza le grida degli indiani d’america, dei cavalli nelle praterie del selvaggio west, dei tamburi, il tutto inserito in un brano musicale che potrebbe funzionare molto bene come colonna sonora, ad esempio di un fim come Balla coi Lupi.
Le danze si aprono, è proprio il caso di dirlo, con la seconda traccia Here I Am che parte con un veloce di riff di chitarra e ci presenta una delle canzoni più belle del disco. L’inizio è potente e puramente power, ma con il proseguio della canzone ci accorgiamo che c’è spazio soprattutto per la melodia come è nella migliore tradizione delle canzoni cantate da Matos.
Non tradisce le aspettative neanche Distant Thunder che ci cattura subito con il riff di chitarra del ritornello e che è anche quello con cui si apre la canzone, un riff veramente azzeccato e uno splendido ritornello che entra subito in testa e ci si ritrova a canticchiarlo o a fischiettarlo tra se e se senza neanche accorgersene.
Il fatto è che tutte le canzoni sono belle, veramente belle, ed è quasi impossibile cercare di stilare una classifica di quali siano le più belle, sicuramente però la quarta song dell’album For Tomorrow è una di quelle che lasciano il segno. In particolare rimangono impressi gli strumenti che fanno da coro alle classiche chitarre, basso e batteria e che sono quelli che aprono la canzone. Si tratta in prevalenza di strumenti tipici del sud america che ricreano con il proprio sound così caratteristico una atmosfera quasi magica e molto trascinante. Se pensate che il metal dovrebbe essere solo chitarre, basso e batteria ascoltatevi questa canzone e cambierete sicuramente idea, certo è che bisogna essere dei grandi per riuscire a fondere strumenti così diversi tra loro ottenendo un simile risultato.
Un’altra canzone indimenticabile è Fairy Tale, si tratta della canzone che farebbe in pratica la parte del lento su questo disco, ma definirla semplicemente un lento o una ballad è decisamente riduttivo. La canzone infatti presenta al proprio interno tante facce diverse, ci sono parti dolcissime, lente, con la musica che accompagna la voce di Matos in maniera unica e altre in cui fa il proprio ingresso in maniera trionfale un coro femminile da chiesa, imponente e solenne. Una canzone difficilmente etichettabile, se non impossibile, ma che sa conquistare l’ascoltatore, magari necessitando di qualche ascolto in più per essere ben assimilata, ma solo perchè veramente bella.
Vorrei poter parlare ampiamente di tutte le canzoni, purtroppo però rischierei di tediarvi tutti andando a sviscerarle una per una, così ne salto qualcuna e passo a parlare della titletrack, la splendida Ritual il cui testo ci riporta subito alle sonorità dell’inizio e che rende omaggio al nome del gruppo e del disco. Il testo infatti ci porta tutti in cerchio attorno a un fuoco, mano nella mano durante un rituale, lentamente vediamo il fumo salire dal fuoco e dal fumo emergere una faccia. Ma è meglio che mi fermo qui per non rovinare il gusto della scoperta.
Concludiamo infine con l’ultima canzone dei disco Pride, in pratica la canzone più fortemente power del disco. Una canzone che presenta tutte le caratteristiche del genere, con una batteria sparata per tutta la canzone a mille e che oltre a Matos ci permette anche di ascoltare Tobias Sammet, mente pensante degli Edguy e del progetto Avantasia su cui ha cantato anche lo stesso Matos.

In conclusione alcune considerazioni generali su questo disco: un gran bel disco, una delle uscite obbligatorie per quest’anno per diversi motivi, per prima cosa per sentire cosa hanno combinato Matos, Confessori e Mariutti dopo lo split dagli Angra, inoltre perchè il disco è veramente bello. L’uso di altri strumenti oltre ai soliti del metal e la fusione con molte sonorità tipiche del sud america e del folklore di molti popoli rende queste canzoni un esperimento riuscito alla perfezione e per questo da ascoltare sicuramente. Infine questo è un disco che piace subito fin dal suo primo ascolto ma che appunto si presta a molteplici livelli di lettura, più si ascolta più sono convinto che piaccia perchè a ogni ascolto si possono cogliere nuove sfumature che prima erano sfuggite e questa è una virtù indiscussa di questo disco.
Proprio per chiudere un must assoluto di quest’anno, non può mancare a chi ha sentito almeno una volta gli Angra e sinceramente non può mancare neanche agli altri. Da avere e ascoltare e riascoltare più volte.

Tracklist:

01 Ancient Winds
02 Here I Am
03 Distant Thunder
04 For Tomorrow
05 Time Will Come
06 Over Your Head
07 Fairy Tale
08 Blind Spell
09 Ritual
10 Pride

Alex “Engash-Krul” Calvi

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