Recensione: Road Salt Two

Di Lorenzo Bacega - 1 Ottobre 2011 - 0:00
Road Salt Two

Quella che vede come protagonisti gli svedesi Pain of Salvation è una storia davvero particolare, per certi versi difficile da inquadrare: la band si forma nel lontano 1991 dalle ceneri dei Reality (il primo gruppo del frontman Daniel Gildenlöw) e sei anni più tardi sforna il debutto Entropia, un disco assolutamente sopra le righe che da subito proietta l’allora quintetto di Eskilstuna tra le stelle del firmamento progressive metal. Il meglio però deve ancora arrivare: dapprima One Hour by the Concrete Lake (1998), poi The Perfect Element 1 (2000) e infine Remedy Lane (2002) sanciscono la definitiva maturazione della band scandinava, aumentando vertiginosamente la notorietà dei cinque (ora quattro) svedesi e contribuendo ad ampliarne il numero dei consensi in maniera esponenziale. A questo punto però in questa macchina perfetta qualcosa si inceppa: nel 2004 vede infatti la luce Be, album oltremodo ambizioso che spacca letteralmente in due sia il pubblico che la critica specializzata a causa di alcune scelte compositive – più per il concept affrontato che per la musica effettivamente proposta, a onor del vero – a dir poco stravaganti. Le cose non vanno affatto meglio con la produzione più recente, vale a dire, nell’ordine, il discontinuo – e poco ispirato – Scarsick (risalente al 2007) e il polveroso ed essenziale Road Salt One (pubblicato invece nel 2010), due lavori complessivamente poco interessanti e dalla qualità decisamente altalenante. Quella che arriva alla pubblicazione di Road Salt Two è quindi una band  – almeno all’apparenza – in piena parabola discendente, un gruppo che, a livello musicale, pare aver già detto tutto quello che di buono aveva da dire. Ma sarà davvero così?

Andiamo con ordine. Road Salt Two arriva sugli scaffali dei negozi sul finire di settembre 2011, a più o meno un anno di distanza dalla prima – non troppo esaltante, per usare un eufemismo – parte della saga, pubblicato ancora una volta da InsideOut Music. Rispetto al full length precedente poche cose sono cambiate dal punto di vista stilistico: esattamente come il diretto predecessore, questa nuova fatica targata Pain of Salvation rimane infatti legata a sonorità piuttosto ibride, a cavallo tra metal, blues e rock settantiano, per un sound polveroso, acido e volutamente retrò, che tende a miscelare ampie aperture melodiche, parti più prettamente introspettive e riflessive, e inserti chitarristici decisamente ruvidi e aspri. Poche le novità pure per quanto riguarda la formazione, stabile ormai dal 2008: queste riguardano soprattutto il batterista Léo Margarit, autore in questa occasione di una prova magari non stratosferica, però certamente più organica e più in palla rispetto al recente passato. Prestazione dalle due facce invece quella offerta dal frontman Daniel Gildenlöw, estremamente versatile e assolutamente trascinante – come al solito, verrebbe da dire – nella veste di cantante, piuttosto in ombra e nel complesso poco incisivo – così come il collega Johan Hallgren – in quella di chitarrista. Più che buono infine il lavoro svolto dal tastierista Fredrik Hermansson, artefice di una performance magari poco spettacolare, ma in ogni modo solida ed efficace.

Composto da dodici tracce – per un minutaggio complessivo che si attesta intorno ai cinquantatre primi di durata – questo Road Salt Two ci offre una manciata di brani piuttosto compatti, dall’alto contenuto melodico e facilmente memorizzabili nel giro di davvero pochi ascolti. E’ possibile inoltre notare come Daniel Gildenlöw e soci rispetto al full length precedente abbiano cercato di puntare su un songwriting generalmente più omogeneo e corposo, in modo da dare alla luce composizioni un po’ più coese, più organiche e meno dispersive – sia a livello di sonorità che di strutture –  di quelle sfornate nel recente passato. Un proposito che – almeno sulla carta – sarebbe assolutamente buono, non fosse che il risultato ottenuto in questa occasione, per usare un eufemismo, non è affatto dei migliori: la maggior parte dei brani proposti in questo lavoro infatti risulta ampiamente sottotono, priva di mordente e povera di idee – poche e sviluppate piuttosto male –, finendo così per cadere nel dimenticatoio in pochissimo tempo. Basti pensare ad esempio alla triade posta in apertura, composta nell’ordine da Softly She Cries, Conditioned e Healing Now, tre pezzi lineari e fin troppo orecchiabili che scivolano via senza incidere a dovere, oppure all’oltremodo melodica 1979, brano tutto sommato semplice e introspettivo che, a dispetto di una strofa estremamente interessante, viene purtroppo rovinato da un refrain eccessivamente scialbo e banale. Come non citare inoltre Mortar Grind, canzone già proposta un paio d’anni fa nell’EP Linoleum e riregistrata appositamente per l’occasione, nel complesso eccessivamente anonima e ulteriormente penalizzata da una produzione a dir poco soffocante, mentre invece Eleven, nonostante qualche spunto compositivo effettivamente degno di nota, non riesce mai a decollare, perdendosi continuamente tra passaggi leggermente confusi e macchinosi. Tuttavia non mancano gli episodi positivi all’interno dell’album: a questo proposito si potrebbe menzionare The Deeper Cut, a detta di chi scrive il pezzo più riuscito di tutto il disco, letteralmente sorretto da un’ottima prova da parte di Daniel Gildenlöw al microfono, il tutto malgrado una parte conclusiva un po’ troppo ripetitiva, oppure la più che discreta To the Shoreline, potenziale singolo radiofonico che, pur non facendo in alcun modo gridare al miracolo, può comunque contare su melodie davvero azzeccate.

In definitiva, ci troviamo al cospetto di un disco sicuramente insufficiente, nel complesso assolutamente pretenzioso, povero di idee e decisamente trascurabile. Pochi sono infatti gli spunti degni di nota all’interno di questo Road Salt Two, un lavoro piatto e artificioso che, sebbene suonato in maniera più che discreta – soprattutto per ciò che concerne le parti vocali, ad opera di Daniel Gildenlöw – si rivela però terribilmente banale e anonimo quanto a songwriting. Tenetevene alla larga.

Lorenzo “MisterMagoo85” Bacega

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Tracklist:
1. Road Salt Theme
2. Softly She Cries
3. Conditioned
4. Healing Now
5. To the Shoreline
6. Eleven
7. 1979
8. The Deeper Cut
9. Mortar Grind
10. Through the Distance
11. The Physics of Gridlock
12. End Credits

Line Up:
Daniel Gildenlöw – Vocals, Bass, Guitars
Léo Margarit – Drums
Johan Hallgren – Guitars, Vocals
Fredrik Hermansson – Keyboards