Recensione: Rock

Di Marcello Catozzi - 21 Ottobre 2013 - 0:01
Rock
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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68

Sulla fiammeggiante copertina del disco d’esordio di Burgatto’s Project (nato da un’idea del compositore milanese Marco Burgatto) campeggia il titolo dell’album, ”Rock”, che scaturisce da un’esplosione atomica. Ed è proprio nel segno del Rock tradizionale che il combo milanese intende proporsi alle italiche platee, come si evince dalle dichiarazioni e dal video ufficiale (“Rock”, appunto) uscito a supporto della pubblicazione di questo lavoro.

Prima di dedicarci ai contenuti, è opportuno un cenno all’innata intolleranza – da parte di chi scrive – nei confronti del cantato in italiano in ambito Hard Rock. Eccezion fatta per alcuni gruppi Prog, Rock e Metal del passato tricolore più o meno recente (Banco del Mutuo Soccorso, Le Orme, New Trolls, Strana Officina, Fil di Ferro, tanto per citarne alcuni), per chi è cresciuto alimentandosi alle fonti del Blues e del Rock fin dagli anni 60/70, con i Grandi Classici come punto di riferimento costante, è arduo prescindere da tale imprinting. Tuttavia, siccome pare che con l’avanzare dell’età ci si ammorbidisca (sarà poi vero?), arriva il momento in cui bisogna dare prova di elasticità e aprirsi a inconsueti orizzonti. Fatta questa doverosa premessa, diamo il via all’ascolto con le orecchie ben aperte e animo sereno, senza condizionamenti e senza ulteriori esitazioni.

L’inizio di “Per la Liberta’” è scandito da un riff che ci fa “sentire a casa”, in quanto provvisto dei connotati di marca Hard Rock: ruvido, scarno ed essenziale quanto basta, subito assecondato da una sezione ritmica alquanto incisiva. La voce è lineare e si snoda sicura su registri medi. Il testo è piuttosto intrigante e l’assolo di chitarra semplice ma incisivo.
“Scompari Subito” ha un ritmo vivace, con parti vocali un po’ arrabbiate (si parla di una storia andata storta, come accenna il titolo) e un ritornello martellante e assai orecchiabile.
“La Promessa” incomincia con note di pianoforte che creano un’atmosfera pacata e quieta. La parte iniziale del cantato suona un po’ cantilenante, alla Ligabue (aarrghh!), ma successivamente, per fortuna, assume un’andatura più decisa e spedita, pur se ammantata da una certa tristezza di fondo. Le liriche sono improntate sulla coerenza e sull’orgoglio, mentre l’impalcatura musicale si regge su un’armatura costituita da un intenso lavoro di piano, con un’intonacata di synth anni 70.

Nella successiva “Realta’ Illusoria” troviamo soffi di tastiere accoppiate a un arpeggio assai espressivo, che preludono all’ingresso di un cantato efficace, soprattutto nei contenuti sottostanti: “ed il mio difetto è che penso troppo spesso fino a discostarmi dalla realtà”. Il motivo melodico è di quelli che restano in mente, mentre l’assolo chitarristico è eseguito secondo i dettami dell’intramontabile “old school”, alternativamente al solito dinamismo di tastiere a tinteggiare lo sfondo.
“L’impero” si apre con passi di marcia e un riffone di grande spessore; il brano è incazzato al punto giusto sia nelle parti vocali (qui sostenute dai cori) sia nel sound, di sapore palesemente “rétro”, condito da qualche penetrante tocco di synth. Il pezzo è di interesse sempre attuale e le parole sono significative, essendo rivolte contro una certa gestione del potere: “dritto per la mia strada controllando che ogni cosa vada. La soluzione è lì che aspetta ma per noi non c’è fretta. Uomo onesto e sincero calpestato dall’impero”.
“Non Mi Basta Mai” è una canzone spensierata e divertente, in nome di una vita da vivere appieno, anche “giocando col fuoco”; lo spirito che ne traspare è totalmente all’insegna dello svago, della spontaneità e della leggerezza.
L’intro di “Disperso nel Vento” è caratterizzata dal rumore del vento accompagnato da un arpeggio molto ben articolato, sul quale poi si innesta una voce più ispirata rispetto agli episodi precedenti. Il guitar solo è di buona fattura, mentre il testo evoca ricordi intrisi di nostalgia e pone in evidenza – da un lato – la difficoltà di staccarsi dal passato e – dall’altro – l’angoscia di affrontare il cambiamento.

L’ultima traccia, la title-track “Rock”, imprime un ritmo deciso e tirato e intende omaggiare l’Hard Rock in tutta la sua essenza: “Rock: ti trasporta via. Rock: mistica magia”. La struttura della song, dinamica e spigliata, mette in luce un’equilibrata alternanza tra chitarra e sintetizzatore, di gusto smaccatamente vintage e chiude così, in modo dichiaratamente e volutamente celebrativo, questo lavoro.

In conclusione, alla luce delle vibrazioni scaturite dalle casse dello stereo, si potrebbe paragonare il disco a un viaggio nel passato, come descritto nell’analisi particolare di alcune tracce: i suoni, la configurazione dei brani e l’approccio strumentale concorrono a rappresentare un chiaro omaggio ai Classici. Le song contenute nell’album sono tutte all’insegna della semplicità e risultano, perciò, di notevole immediatezza e “penetrazione”. I singoli elementi evidenziano buona tecnica e gusto e le canzoni sono gradevoli, pur nella loro essenzialità. Se, da un lato, la voce non esalta in quanto sempre attestata su tonalità medie, senza impennate o acuti di classe, dall’altro le liriche esprimono profondità e attualità di contenuti di grande impatto.
Una volta superato lo shock del cantato in italiano, dunque, il vecchio recensore può senz’altro definire “Rock” un apprezzabile lavoro, un prodotto che piacerà a tutti quei nostalgici legati, in qualche modo, alle radici che il tempo non è riuscito a recidere.

Per dirla alla Burgatto’s Project: “…cambia il mondo e ti senti solo. Combatti per cose che non ci son più. Il cambiamento mi terrorizza, mi mette alle corde. Il tuo passato lontano nel tempo. Disperso nel vento…”
—–

Il disco è stato registrato presso il Pop Life Studio di Milano. Fonico: Paolo di Lello. Tutti i brani sono stati scritti da Marco Burgatto. La grafica è a cura di Tatiana Navarra.

Siti: www.discogs.com/artist/Marco+Burgatto
In Facebook: Marco Burgatto Project

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