Recensione: Rock Fucking Blood

Di Stefano Ricetti - 31 Maggio 2006 - 0:00
Rock Fucking Blood
Band: Gate Three
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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67

Recensire un Cd di ben tredici pezzi tutti strumentali all’interno del mercato odierno risulta quantomeno imbarazzante, lo ammetto candidamente! Sotto il monicker di Gate Three si nasconde il bergamasco Paolo Serughetti: un musicista dalle idee chiare e soprattutto molto determinato che a soli ventidue anni si trasferisce dall’Italia a Los Angeles per studiare tecniche di registrazione sonora e chitarra presso il Musicians Institute. Le sue influenze spaziano dall’HM al semplice rock, passando attraverso fusion e musica classica.

Rock Fucking Blood è il suo primo capitolo discografico, realizzato con la collaborazione di altri musicisti: Andrea Mastrigli al basso e Federico Paulovich alla batteria. Il package risulta confezionato ottimamente: da urlo il soffietto cartaceo che fuoriesce dal classico booklet. La cura maniacale di tutti i minimi particolari si evidenzia in questo lavoro sia dal punto di vista della confezione che dalle foto, particolarità che si rivela poi anche e soprattutto nelle composizioni. I tredici pezzi non lasciano assolutamente indifferenti: le emozioni scorrono a fiumi passando attraverso tutte le influenze di Serughetti – la traccia numero otto, dal titolo Dreaming, a mio avviso costituisce l’highlight del disco – quello che però manca, e parecchio, è il cantato, che viene quasi reclamato in automatico fra una pioggia di riff e un’altra.

Non oso immaginare cosa sarebbe venuto fuori se dietro al microfono ci fossero stati dei mostri sacri del genere come Jeff Scott Soto o Joe Lynn Turner, tanto per citarne due NON a caso… Nelle note accompagnatorie del Cd leggo che i Gate Three sono già al lavoro sul secondo album, che conterrà appunto alcuni brani interpretati da un singer e verrà prodotto presso lo studio personale del chitarrista. Rock Fucking Blood rappresenta un buon inizio, senza dubbio, ottimamente prodotto e pregno di tecnica e riff interessanti, che però manca di quel qualcosa che lo renda un minimo catchy e appetibile anche per i non ultras della chitarra elettrica, peculiarità fondamentale per lasciare il segno nel mercato attuale.

Aspettiamo quindi con entusiasmo il prossimo capitolo discografico: le premesse per fare bene ci sono proprio tutte! 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

               

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