Recensione: Roots

Di herzog - 5 Maggio 2003 - 0:00
Roots
Band: Sepultura
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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85

Il vero punto zero del Metal (e di una parte di Rock) moderno. Non si potrebbe coniare migliore definizione per un capolavoro come “Roots“, sesto album del quartetto brasiliano più famoso del mondo, i Sepultura. Dopo lo strepitoso successo artistico e commerciale di “Chaos A.D.” i quattro di Belo Horizonte decidono di portare avanti con maggiore coerenza il loro progetto di “sperimentazione delle radici” (parola di Max Cavalera) contattando il grande percussionista Carlinhos Brown, già presente in due lavori del grande cantautore brasiliano Caetano Veloso: nessuno poteva pensare che un musicista come Brown potesse adattarsi a sonorità così pesanti, ma il connubio tra etno-music (nel senso più radicale e “primitivo” del termine) e le classiche sferzate brutali tanto care ai Sepultura riuscì alla perfezione, decretando il successo planetario della band (in Italia il disco arrivò addirittura al 4° posto della classifica dei dischi più venduti) e la nascita di un “etno-metal” ricco di sfumature e di sprazzi psichedelici nonchè geniali.

L’apertura dell’album viene affidata al classico “Roots bloody roots”, canzone che riscosse grande popolarità grazie ad alcuni accenni etnici tanto ammiccanti quanto spontanei e sentiti. Il pezzo successivo, “Attitude”, viene introdotto dal suono estraneo e psichedelico di un berimbau, strumento caratteristico dei musicisti brasiliani, dopodichè il pezzo prosegue con la classica andatura heavy.”Cut throat” è forse il pezzo che si distacca maggiormente dagli intenti “alternativi” del disco:infatti questa non è altro che un’ottima metal song dove Max Cavalera sfoga la sua rabbia nei confronti dei politici “taglia gole”.Il punto di massima ispirazione viene però toccato in “Ratamahatta”, pezzo nel quale si alternano le improvvisazioni alle percussioni di Carlinhos Brown e il delirio rockeggiante della chitarra di Andreas Kisser e della batteria di Igor Cavalera.

Le altre grandi sorprese sono “Lookaway”, scritta dai Sepultura in collaborazione con Jonathan Davis (vocalist dei Korn) e Mike Patton, i quali figurano anche come singers accanto a Max Cavalera; e infine le due splendide strumentali “Itsàri” e il gran finale di “Canyon Jam”, scritte e suonate entrambe con la tribù amazzonica degli Xavantès. Dopo un lungo tour mondiale di supporto al disco, Max Cavalera rompe i rapporti con suo fratello Igor e fonda i Soulfy con i quali inciderà il debut-album omonimo (bellissimo, datato 1998), il successivo e non troppo esaltante “Primitive” e lo splendido “3”. I restanti tre, invece, decidono coraggiosamente di reclutare un cantante Hardcore di nome Derrick Greene e di registrare il transitorio “Against” e il sensazionale “Nation”.

Nonostante il marchio Sepultura si sia spaccato in due questo disco rimmarà sempre nei cuori degli amanti del metal di qualità oltre che nell’anima dei rockofili più sinceri.

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