Recensione: Ruins

Di Andrea Bacigalupo - 1 Settembre 2018 - 8:30
Ruins
Band: Panzer Squad
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2018
Nazione:
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60

I Panzer Squad sono nati  in Germania nel 2012. Formazione alquanto instabile, hanno prodotto un primo demo ed hanno partecipato agli split ‘DisPanzer Split’ con i Disclaim e ‘Basament Warfare Noise’ con i CxTxD. L’album d’esordio, ‘Coming To Your Town’, ha visto la luce nel 2016, mentre il secondo album, dal titolo ‘Ruins’, è uscito il 31 agosto 2018 via Testimony Records, label tedesca specializzata in musica estrema.

Ruins’ va dritto al bersaglio, come un proiettile ed è privo di qualsiasi originalità, avendo i Panzer Squad eliminato quel poco di personalità che si poteva percepire in ‘Coming To Your Town’, in favore di un Thrash che si rifà pienamente alla vecchia scuola tedesca degli anni ’80, tipo i Destruction e gli Assassin, tanto per fare un paragone.

Tanta velocità smodata, voce grezza e graffiante, che riporta alla mente, appunto, l’ex Assassin Robert Gonnella, ritmiche serrate, assoli sporadici non troppo elaborati, strofe e refrain ridotte all’osso: questi sono i Panzer Squad, Thrash violento e crudo con una buona dose di sonorità Hardcore.

Solo questo però: pur se non malvagio, l’album ha il grosso limite di avere le composizioni un po’ troppo simili tra loro, con minime sfumature.

A dirla tutta, se non si ha l’elenco dei titoli sottomano, se ci si distrae un attimo si rischia di non sapere più quale canzone si sta ascoltando.

Eppure le buone idee ci sono, espresse soprattutto nell’apertura dei brani, come l’inizio enfatico di ‘Death Toll’, quello cupo che prende potenza di ‘Escapist’, il basso Hardcore in ‘Singular Purpose’ e le tenebre di ‘Approaching the End’, sezioni che danno molta aspettativa ma che portano sempre alla stessa soluzione: velocità, cattiveria, cambio di tempo con cadenze più o meno potenti, assoli veloci e grezzi e ripresa del pezzo.

Questo è il massimo della variabilità; ci sono pezzi che sono ancora più diretti, partendo immediatamente a razzo: l’opener ‘Extinction’, ‘Societal Funeral’, ‘Shut In’ e ‘Victims of War’ ad esempio, quest’ultima inferiore al minuto.

Non c’è un brano che si differenzia o si eleva sugli altri, se non la già citata ‘Approaching the End’, con un bella parte cupa intermedia, me è una differenza veramente minimale.

Chiude il lavoro ‘Warsystem’, cover degli Shitlickers, Band Hardcore Punk svedese militante negli anni ’80. La cover è suonata secondo le trame del Thrash, così come hanno già fatto gli Anthrax con ‘God Save The Queen’ nell’EP ‘Armed and Dangerous’ del 1985 ed i Megadeth con ‘Anarchy in the U.K.’ nell’album ‘So Far, So Good … So What’ del 1988, entrambe dei Sex Pistols. Il brano non aggiunge niente: poteva esserci, come no.

Tirando le somme, l’album è ascoltabile, inciso e suonato bene, non è proprio deludente ma va a perdersi tra le molteplici produzioni tutte uguali, non presentando la minima novità, cosa di cui invece il Thrash odierno ne ha vitale bisogno.

Piacerà agli estremisti, mentre per chi va a caccia di originalità lo troverà un po’ noioso. Raggiunge comunque la sufficienza.                                         

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