Recensione: Sacred Fire

Di Carlo Passa - 28 Febbraio 2015 - 10:00
Sacred Fire
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2015
Nazione:
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60

Avrò ascoltato troppo power metal? Chissà. Fatto sta che nel quarto album degli svedesi The Storyteller non c’è niente che non mi sia già passato per le orecchie più e più volte. Power metal con un pizzico di epicità, dunque, intessuto di tutto ciò che di canonico occorre nel genere: ritornelloni melodici, cavalcate al galoppo, doppie casse da ciclista e orgoglio metallico in abbondanza. Sapete cosa attendervi.
Attivi addirittura dal 1995 (anno santo della new wave del power metal europeo), i The Storyteller esordiscono su album nel 2000 e da allora costellano la propria carriera di prove piuttosto anonime, con solo qualche sprazzo di discreta qualità (Underworld, datato 2005, non era affatto male).
Non stupirete a sapere che questo Sacred Fire non si discosta di un millimetro dal solito canovaccio degli svedesi, che pescano a piene mani da Gamma Ray, Hammerfall e compagnia bella. Ecco, se dovessi specificare il power dei The Storyteller direi che si situa al punto d’incontro tra il gusto della melodia della band di Kai Hansen e gli arrangiamenti forieri di una certa epicità propri degli Hammerfall. Il risultato non è neppure male e si lascia anche ascoltare con piacere: la band suona bene, evitando di scadere in soluzioni pacchiane, e i pezzi scorrono lisci lisci, senza la pretesa di diventare dei classici del genere. Ma a latitare completamente è ogni forma di personalità, in una band che definire derivativa è quasi un complimento.
As I Die apre il disco: e, da sola, basterebbe per capire l’andazzo dell’intero prodotto, riassumendo in sé tutte le caratteristiche della proposta dei The Storyteller (e, in vero, di troppe altre band). One Last Stand sembra proprio un outtake di qualsiasi album degli Hammerfall, ma merita una sufficienza risicata, soprattutto in virtù di una linea melodica piuttosto valida.
Sacred Fire, invece, fa il verso agli Helloween: e il risultato è sinceramente povero.
Ma davvero non è il caso di descrivere i singoli pezzi di Sacred Fire, la maggior parte dei quali è priva di spunti degni di nota. Vale la pena, piuttosto, soffermarsi sugli episodi meno scontati, o comunque di almeno discreta validità. Tra questi segnalerei Sons of The North, vagamente Saxon nella strofa e decisamente epica nel ritornello, e la cadenzata Ferryman, che richiama i Grand Magus. Ma qualcuno tra voi preferirà la ballad Coming Home (un clone di qualsiasi lentone degli Hammerfall), o il power a la Running Wild di The Army of Southerfell.
Insomma, un Bignami di uno dei generi più amati del metal, forse in grado di ammaliare qualche giovane adepto, ma del tutto inadatto a solleticare i padiglioni auricolari di chi è cresciuto coi classici, che davvero sono di un livello impraticabile dai The Storyteller.
Sacred Fire è l’ennesimo prodotto di un gruppo di onesti mestieranti dell’heavy metal. Col tempo, solo i fanatici del genere li ricorderanno, più per amor di completezza che per sostanza della proposta.

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