Recensione: Sagas

Di Daniele Balestrieri - 23 Luglio 2008 - 0:00
Sagas
Band: Equilibrium
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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91

Fa uno strano effetto ascoltare un album come questo Sagas e pensare che fino a qualche anno fa il nome Equilibrium era associato unicamente agli Emperor o ai Cathedral, senza sospettare che un gruppetto di bavaresi avrebbe presto conferito un’altra eccezione a un termine tanto comune quanto significativo. È probabilmente grazie al talento, alla coerenza e al terreno decisamente fertile che l’allora “ennesima band di viking folk” è riuscita a farsi strada con tanta velocità e incisività.
Al tempo, l’inatteso ritorno di Quorthon al viking metal inoculò nelle frange pagane mezze addormentate di inizio millennio una notevole dose di linfa vitale. I primi veri colpi di mortaio si fecero attendere fino al 2003, allorquando nell’isterismo generale che iniziò a ruotare attorno a band già semicollaudate come Týr e Månegarm, iniziarono ad essere idolatrate anche piccole band che fino a quel momento non avevano altro che un demo all’attivo e diversi sogni nel cassetto. Tra nomi che in futuro avrebbero conquistato le luci della ribalta come Turisas, Ásmegin e Nomans Land figuravano anche gli sconosciuti Equilibrium, famosi per aver prodotto un demo che generò una lotta all’accaparramento ai limiti del violento in tutte le principali comunità folk-viking dell’epoca.

È vero che l’uscita di Turis Fratyr portò con sé un’ondata di ottimismo per questa giovane band tedesca; tuttavia il mare in quel momento era già pieno di pesci, e vuoi per l’aura spiccatamente speed-folk dell’album – nulla di nuovo per il periodo – e vuoi per la sua vicinanza a numerose altre band che proprio in quel biennio cercavano con forza di spiccare il volo o di continuare a volare, l’album venne apprezzato e al tempo stesso archiviato negli annali del viking metal di mestiere senza particolari pretese.
Tanto più che Turis Fratyr era un disco a metà; molti dei suoi brani provenivano dal famoso demo-rissa del 2003 e per questo non aveva dato l’impressione di essere un’uscita di sfondamento. Tuttavia, nonostante il materiale di ripiego, tra le fessure di Turis Fratyr filtrava un bagliore fuori dal comune che non necessitava d’altro che di un’occasione per liberarsi in tutta la sua forza. L’originale growl melodico di “Der Sturm”, la spontaneità di brani a cavallo tra il classico e l’epico come “Wingthors Hammer” e Tote Heldensangen” lasciavano presagire una band in veloce maturazione, con mire grandiose che avrebbero causarne la rovina come accaduto ai connazionali XIV Dark Centuries oppure dargli la spinta necessaria per accedere di diritto all’olimpo dell’heathen metal.
Alla fine la spinta agognata è arrivata, e proprio per mezzo delle sapienti braccia della Nuclear Blast, che quel bagliore inusuale l’aveva notato eccome e che gli ha dato carta bianca per creare l’album della consacrazione – o della distruzione.

La definizione cronologica di Sagas è tutt’altro che semplice: l’opera appare immediatamente un’epopea a sé state il cui diretto collegamento con il lavoro precedente emerge a tratti soprattutto nei movimenti centrali dell’album. Partendo da questo presupposto, è stupefacente notare la maturazione alla quale abbiamo assistito in appena tre anni, dal songwriting alla esecuzione, dalla scelta dei suoni agli stupefacenti arrangiamenti, Sagas è un prodotto di una tale rifinitura che è difficile accostarlo al secondo full-length di una band giovane e dalla pelle relativamente sottile.

Il paragone con i Moonsorrow di prima epoca sembra praticamente inevitabile, e in questo caso assistiamo allo scontro titanico di due interpretazioni dell’heathen viking metal osmotiche e al tempo stesso antitetiche, come due binari di epos genuino e ispirato che corrono paralleli senza mai incontrarsi. Per quanto mi piacerebbe addirittura fregiare gli Equilibrium del titolo di “Moonsorrow tedeschi”, Moonsorrow pre-Verisäkeet ovviamente, mi rendo conto che quest’onore sarebbe azzardato e al tempo stesso meritato, anche se con le dovute postille.
Parlando di “Moonsorrow tedeschi” infatti non mi riferisco a una band che ha tentato di scimmiottare i celebri pagan metaller finlandesi. Di band che si apppoggiano ad altre band più famose per offrire tributo, omaggio, o plagio che dir si voglia, ne è pieno il mercato. Gli Equilibrium hanno evidentemente trovato nel metal al quale sono più esposti, l’epic teutonico, quella scintilla nascosta alla quale i Moonsorrow attinsero oltre una decade fa e alla quale evidentemente ha avuto accesso un Bathory pioniere del genere oltre 20 anni fa. Divincolandosi dai canoni strutturali tipici del loro paese, gli Equilibrium hanno mantenuto ben saldi i piedi nel pagan aggressivo continentale elevandolo però a picchi di immaginatività e ispirazione raramente raggiunti finora grazie al sofisticato uso di strumenti peraltro non derivativi come le tastiere e il flauto.
Laddove i Moonsorrow hanno scaraventato l’epic europeo verso scenari gelidi, pungenti, disperati, proiettati come ombre verso le devastazioni artiche, gli Equilibrium hanno invece abbracciato la stessa matrice epica, sfruttandone però il lato più caldo e stupefacente, strattonandolo e modellandolo a guisa di un colossal hollywoodiano. Sagas vanta chitarre e bassi dalla grinta power senza le stucchevoli esagerazioni di Victory Songs degli Ensiferum; linee melodiche arroganti tipiche dell’humppa scandinavo senza l’eccesso manigoldo dei Finntroll ed enormi, travolgenti epopee epiche che non sfigurerebbero tra le fila di Summoning o Menhir senza scadere nell’iperprolissità degli ultimi Manowar e Virgin Steele.
Lo screaming indecifrabile di Helge Stang aiuta sicuramente l’accostamento di questo Sagas ai lavori dei Summoning, specie nei segmenti più epici; tuttavia se qualcuno, ascoltando la trascinante “Dämmerung“, avrà involontariamente percepito l’atmosfera del Signore degli Anelli, allora un ospite illustre come Ulrich Herkenhoff, il flautista del Ritorno del Re, ha contribuito con successo ad aggiungere uno strato di profondità agli già sterminati orizzonti di Sagas.
E qui non si parla nemmeno di un album di grandi brani alternati a meri riempitivi, nè a un album che spara tutte le cartucce in apertura e in chiusura, sperando nella memoria labile degli ascoltatori e della critica. Sagas consegna al pubblico 80 minuti di grande musica, di sostanza, di costruzioni musicali dal primo all’ultimo secondo.

Nessun abbandono di comodo a lunghe chiacchierate dal sapore novellistico, nessuna prolungata sessione di rumori, o scalpitii, o gorgogliare di ruscelli: i tredici brani martellano dal primo all’ultimo minuto, avvolgendosi attorno a momenti strumentali di grande spessore epico e compositivo. Ogni membro di questo piccolo esercito musicale ha del suo da raccontare, il sorriso strappato tra i ritmi latini di “Unbesiegt” e “Ruf in den Wind“, l’automobile impazzita della devastante “Snüffel“, tutto odora di sedute interminabili di strategia musicale, di ore e ore di arrangiamenti e soprattutto di idee fresche, moderne, volte a rimaneggiare un genere titanico come l’epic tedesco senza distruggerne i connotati, un’avanzata di confini già sperimentata con successo da Vargstenen degli svedesi Månegarm, a dimostrazione che nulla è già scritto nella musica e che tutto può muoversi anche quando sembra che non ci sia più niente da dire.

È ancora azzardato predire la direzione di movimento degli Equilibrium: l’apertura in stile “ludi gladiatorii” di “Wurzelbert” sembra puntare verso un metal fortemente condizionato da immaginativi hollywoodiani, lo stesso metal che ha trascinato nelle sue spire artisti del calibro di Rhapsody o Manowar, tuttavia l’ingenuità musicale dei nostri bavaresi sembra avere la meglio (per fortuna, aggiungerei) nella stragrande maggioranza dei casi accompagnando alle sonorità colossali di brani come “Prolog auf Erden” o la struggente “Blut im Auge” dei siparietti da alcoholic metal di primo pelo che riescono ad alleggerire l’atmosfera sottolineando sempre e in ogni caso la nobilità del divertissement in atto, la frivola concessione all’ascoltatore in attesa del giorno seguente di marcia.
Una marcia che si conclude in una malinconica stretta di mano tra il riff di apertura di “Prolog auf Erden” e quello morente di “Dämmerung”, nella circolarità musicale di una serpe che si morde la coda e nel cui centro brilla come una gemma di rarità sorprendente la conclusiva Mana, affresco strumentale di proporzioni bibliche che si snoda nel corso di sedici minuti dipingendo ogni possibile stato d’animo di un essere umano, dalla collera all’allegria, dall’orrore all’ispirazione più profonda.
Citando il compianto Quorthon, “dai un coro a una canzone e la trasformerai in una cavalcata epica” – ed è questa una delle chiavi di volta di Mana e dell’intero Sagas: i cori virili che superano la miniatura in stile Kveldssanger, balzano a piè pari sopra la sguaiatezza del folk da trattoria in stile Svartsot per avvicinarsi alla magnifica potenza di un Land of the Dead dei Summoning o di un Nordland di Bathory. Ogni strumento traccia un segno, calibra un colore e dispone una pennellata che non può trovarsi da alcun’altra parte se non in quel preciso punto di ogni brano, e la cui assenza finirebbe per distruggere l’intera impalcatura musicale.
Solo dopo l’ultimo colpo di pennello, osservando l’affresco finale, si palesa la vera entità di quest’ultimo lavoro di casa Equilibrium. Sagas è un’opera d’indubbia arte, un prodotto che si pone al di sopra dello scorrere di centinaia di proposte che ogni anno vengono riversate sul mercato. Un album vibrante, classico e al tempo stesso originale, compatto e chilometrico, che ha introdotto in un genere rigido e tradizionalista come quello dell’epic heathen delle strutture e dei sistemi che verranno ricordati e presi ad esempio negli anni a seguire. Un’interessante manifestazione di “genio umile”, ben documentata anche nel corposo DVD a seguito dell’edizione limitata in cui si vede nient’altro che un gruppo di ragazzi che si emozionano prima di un concerto, che hanno voglia di divertirsi con la musica e che riescono a spaccare persino nella loro versione di plastica su un palco fatto di lego.

Potrà non piacere a chi preferisce un Viking metal più asciutto come quello dei Kampfar o un epic un po’ meno “bombastico” e più intimista come quello di Falkenbach, ma non importa. Sagas è una proposta di una classe tutta propria, lavori del genere non ne escono spesso e non è facile trovarne: se continueranno a giocare con queste corde anche in futuro, prepariamoci a veder spuntare all’orizzonte un altro gigante dell’epos pagano in musica.

Daniele “Fenrir” Balestrieri

TRACKLIST:

01. Prolog Auf Erden
02. Wurzelbert
03. Blut Im Auge
04. Unbesiegt
05. Verrat
06. Snüffel
07. Heimwärts
08. Heiderauche
09. Die Weide Und Der Fluß
10. Des Sängers Fluch
11. Ruf In Den Wind
12. Dämmerung
13. Mana

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