Recensione: Samoht Nara

Di Vittorio Sabelli - 15 Dicembre 2014 - 15:22
Samoht Nara

Da Wikipedia:

“Il monte Musinè è una montagna delle Alpi Graie alta 1.150 m s.l.m.

Si trova all’inizio della Val di Susa ed interessa i comuni di Caselette, Almese e Val della Torre. È la montagna più vicina a Torino, dai 12 ai 25 km in linea d’aria a seconda della posizione in città, ma nonostante la vicinanza a volte a causa della foschia in pianura e nella bassa valle non risulta visibile”.

E proprio la foschia, la nebbia, i monti, la natura, sono elementi che ispirano da due decenni band norvegesi e non che s’imbattono nel black metal sotto le sue molteplici sfaccettature.

I torinesi Enisum risultano particolarmente influenzati dagli scenari che si aprono dalla montagna, a partire dal nome (invertito rispetto l’originale).

Lys, l’one man band del progetto dal 2006 a oggi, per questo nuovo “Samoht Nara”  si apre all’inserimento del bassista Leynir e alla voce femminile di Epheliin, creando un disco dal sapore prettamente invernale, come ‘tradizione’ vuole. Le sette tracce sono accomunate dalla freddezza e da quel senso di ‘gradevole’ che non sfocia in escursioni musicali fuori dagli schemi, ma che comunque tiene vivo l’interesse.

Si parte con la meditativa “Civrari”, che ben alterna parti riflessive descritte da un arpeggio ad altre in cui irrompe la furia nordica, evocative e allo stesso tempo scarne armonicamente. I pochi accordi che compongono i brani hanno l’aria di mettere a proprio agio chi sa rilassarsi negli spazi ampi. E la stessa “L’Arvoiri Du Cüdlit” ne è la conferma con i soli accordi di acustica che riempiono l’aria nella parte finale. Le sezioni riflessive si alternano e spezzano l’atmosfera con quelle più ‘tirate’, che comunque restano sempre circoscritte, sia dal punto di vista ritmico che delle strutture. I due brani, dagli oltre nove minuti di durata, sono a mio avviso i migliori del platter, per costruzione e andamento.

Mentre brani come la title-track “Samoht Nara” e i pochi accordi acustici di “Rüvat Rùciaj”  girano intorno a band più conosciute quali Agalloch e per tanti versi Wolves In The Throne Room, ma con sonorità che restano comunque apprezzabili nonostante diversi tratti siano in comune. Buone le aperture del secondo brano rispetto al primo, che a tratti risulta ridondante, ma soprattutto la ‘novità’ della voce melodica Epheliin spezza momentaneamente l’atmosfera (fin troppo ‘positiva’) prima di lasciar nuovamente posto alle harsch di Lys.

 “Still Life” inizia ancora con pochi accordi ‘elettrici’ ai quali segue la chitarra acustica non particolarmente ‘oscura’, e il testo declamato da Lys è senz’altro una nuova arma che conduce in crescendo al climax del brano, inizialmente verso una sezione di ‘riscaldamento’, per poi dilagare in un vero e proprio delirio.   

“Battle Of The Trees” prosegue il discorso con qualche sorpresa nella sezione centrale, mentre la ‘ballad’ finale “Lo Coòrs” con i suoi accordi finali scanditi solennemente è la giusta chiusura per questo terzo capitolo targato Enisum.

Disco fruibile e lontano anni luce dai canoni stabiliti in Norvegia anni fa, fortunatamente, che si lascia ascoltare piacevolmente senza troppo impegno per tutta la sua durata. Non incentrato (solo) sui muri di suono e voci disperate, il che è oggi una cosa alquanto rara, ma con un solo rammarico: il non avere uno dei due nomi menzionati in precedenza e non provenire da un’altra nazione più avvezza a ‘questo’ sound…

Vittorio Sabelli