Recensione: Scarlet Silhouettes

Di Emilio Sonno - 6 Giugno 2002 - 0:00
Scarlet Silhouettes
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Anno: 1996
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70

Per chi ha conosciuto i Withering Surface con il loro ultimo Walking On Phantom Ice questo SS deve aver rappresentato una sorpresa non da poco: questo album, che se non vado errando dovrebbe trattarsi del loro debut, è targato 1996 ed è intuibilmente meno nu metal oriented del suddetto WOPI, ma anche migliore sotto certi aspetti.
Sempre di death melodico si tratta, tuttavia qui i cinque danesi non brillano affatto in quanto ad originalità e a dirla tutta sembra di ascoltare gli At The Gates dello storico Slaughter Of The Soul: una somiglianza che si avverte fin dalla primissima Scarlet Silhouettes dove Andersen e compagni ricalcano pesantemente gli stilemi degli indimenticati Svedesi.
C’è da dire che se però da un lato il paragone li rende pesantemente passibili di accusa di plagio, nel contempo esso nobilita le sonorità da loro create (da loro create?, ndA) donando loro una bellezza oggettiva, anche se essa, in realtà, è solo il riflesso di quella propria di altre band.
Come per la coinvolgente titletrack, anche per Beautybeast e A Lily White Sign il discorso è lo stesso, nonostante entrambi i brani risultino piuttosto interessanti. Comunque l’album non è un continuo copia-copia e già con …And She Blossomed inizia a trasparire la vera personalità del combo: un pezzo come al solito molto speedy dove il truccatissimo Michael H. Andersen, miglior spotman per rossetti dopo i Kiss, sfoggia il suo consueto cantato in screaming dando vita ad una performance invidiabile pure per la sua voce particolarmente maligna.
Da menzionare il fatto che il five-piece si avvale della collaborazione di artisti più (Jesper Strömblad, Fedrik Nordström e Nick Vincent) e meno (Bjarke Ahlstrand, Josephine) conosciuti che però non riescono quasi mai nell’impresa di valorizzare le canzoni nelle quali sono chiamati in causa, eccetto che in Your Shadow, My Shelter dove, anche se per poco tempo, fa la sua comparsa Nick Vincent con un cantato dark terribilmente profondo e penetrante che rilancia una song altrimenti priva di forti emozioni.
Un pò troppe tastiere sia in Majestic Mistress che in Farewell, canzone quest’ultima in cui la voce, neanche troppo femminile, di Josephine tende ad andare eccessivamente per la sua strada, creando, a tratti, delle poco piacevoli dissonanze con una musica che si fa apprezzare unicamente per il bel solo centrale ad opera del promettente Allan Tvedebrink.
Potrebbe essere il masterpiece dell’album con i suoi intrecci di chitarre stoppate e l’incisiva batteria che la rendono molto swedish flavoured, invece Behind The Other Side riesce a darsi la zappa sui piedi ancora per via delle tastiere che, non me ne voglia Gabriella Kaysø, creano break alquanto fuori luogo.
In Pitiful Emblems l’uso di keys torna ad essere parsimonioso e lo stile ne guadagna con una track finalmente degna di essere nominata.
L’album, capiamoci, nel suo complesso non risulta affatto malvagio e sarebbe anche migliore se non fosse avvolto da quell’onnipresente sensazione di deja vù che lo trasforma in un discreto acquisto per chi sbadatamente non possegga già l’intera discografia degli At The Gates, ma in un acquisto trascurabilissimo per tutti gli altri.
Emilio “ARMiF3R” Sonno

Tracklist: 1. Scarlet Silhouettes
2. Beautybeast
3. A Lily White Sign
4. …And She Blossomed
5. Majestic Mistress
6. Farewell
7. Behind The Other Side
8. Pitiful Emblems
9. Your Shadow, My Shelter
 

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