Recensione: Schwarzmaler

Di Daniele D'Adamo - 25 Settembre 2016 - 0:00
Schwarzmaler
Band: Pentarium
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Schwarzmaler. Pessimista. Uno che pensa male con la testa, cioè.

E pensa… pensa… pensa… a fiondare l’etere di bordate. Metal estremo. Death o black? Difficile discernere, talmente sono abbarbicati fra loro. Forse la soluzione corretta esiste: symphonic death metal. Genere spurio, quasi ininquadrabile. Eppure esiste.

Esiste nei tedeschi Pentarium, autori del loro sudato debut-album, intitolato “Schwarzmaler”, per l’appunto. Il discrimine? Il roco, rabbioso, stentoreo growling di Carsten Linhs, anche se spesso e volentieri sono folli urla, scream, a far capolino dalle song.

Importa così tanto, la classificazione? No, affatto. Importa ciò che i Pentarium suonino. Poiché, tale azione, è svolta bene. Davvero, bene. Evidentemente i dieci anni trascorsi dalla loro nascita e gli otto dall’altra uscita discografica, il demo “The Avenger”, non sono passati invano. Il sound di “Schwarzmaler” è possente, roboante, imperioso. Teutonico. Buio, come il sottobosco in un brumoso crepuscolo invernale. Freddo. A tratti addirittura gigantesco (‘Gevatter Tod’). Merito, sostanzialmente, dell’enorme lavoro svolto da Philip Burkhard alle tastiere. Talmente vasta, la sua opera, da poter affermare che, quasi, l’intero platter poggi le fondamenta sullo sterminato tappeto di note tessuto dal synth.

Non è del tutto così, però. Le chitarre, che sono due, si sentono, eccome. Soprattutto quando il sestetto di Griesheim volge lo sguardo al deathcore, come accade – per esempio – nell’opener ‘Kronzeuge’, quasi uscita da un disco degli Heaven Shall Burn, soprattutto quelli più recenti. Ma non c’è da stupirsi: quello che vien fuori è innato. È il romanticismo germanico. Cupo, tetro, a volte sin sdolcinato. Sovrabbondante nelle sue esternazioni emotive (‘Vanitas’), seppur bloccate un pochino dalle fulminee decelerazioni degli stop’n’go e/o – che dir si voglia – dalle sincopi dei breakdown stacca-collo (‘Gevatter Tod’).

E l’emotività, questa emotività, a volte, come nella hit (sic!) ‘Seelenheil’, diviene vincente, canone adornata da uno stupendo, trasognante ritornello della canzone stessa. Un refrain che strugge l’anima e il cuore, che fa sognare. Sognare di volare. Sognare di esser felici. Sognare di morire.

Un percorso onirico perfettamente inquadrato dalle memorabili partiture del già menzionato Burkhard, irresistibile nella sua visione elegiaca quando l’atmosfera si tinge di leggenda (‘Auf schwarzen Schwingen’). In questi frangenti, è impossibile rimanere indifferenti al flusso di sensazioni che originano dalla musica per ficcarsi là, ove nascono le illusioni. E s’infilano con forza: i Pentarium non fanno sconti a nessuno e pestano duro, se occorre. Mostrando il loro lato più oscuro, ferale, aggressivo (‘Nimmermehr’). Quello che dipinge inesorabilmente l’aggettivo oltranzista sull’evocativa copertina del disco. Merito, su questo non possono esserci dubbi, del fatto che il cantato sia in tedesco. Più asciutto, secco e cattivo del canonico idioma anglosassone. Ma, del resto, ci sono anche i blast-beats. Eseguiti in maniera impeccabile da Max Peev e sostenuti dall’energia incessante prodotta dal basso di Fabian Laurentzsch, si riescono a raggiungere velocità da brivido e megatoni tipici delle esplosioni termonucleari (‘Totendämmerung’).

La completezza di “Schwarzmaler” si evince, poi, nei brani in mid/up-tempo, come nella granitica ‘Macht durch Angst’, testimoni di una buona capacità di scrittura anche quando necessita ragionare di più e picchiare di meno. 

“Schwarzmaler” che, per essere un’Opera Prima, si rivela clamorosamente centrato sull’obiettivo-principe: la concretizzazione di una foggia artistica personale e la messa al Mondo di brani tutti interessanti, tutti ascoltabili più volte senza venire a noia, tutti memorizzabili nella loro varietà.

Daniele D’Adamo

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