Recensione: Secret Treaties

Di Filippo Benedetto - 1 Aprile 2004 - 0:00
Secret Treaties
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Anno: 1974
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93

E’ sempre un’impresa difficile ma entusiasmante recensire un capolavoro delle bands importanti. Soprattutto quando una di queste è meno conosciuta ma tra le fondamentali di un genere musicale. Nello specifico mi riferisco ai Blue Oyster Cult, gruppo non molto conosciuto ai più e purtroppo non degnamente tributato ma che ancora oggi deve essere ricordato come una delle formazioni cardine del genere hard rock più vicino all’attitudine heavy metal. Fortunatamente è uscita nei negozi, nel 2001, la versione rimasterizzata dei più importanti lavori di questo grande gruppo, interamente remasterizzati.
Non mi soffermo, dunque, sulla biografia e sulla discografia essenziale del combo, già ampiamente segnalata in altre recensioni. Piuttosto arrivo subito al dunque, ovvero alla recensione di quello che comunemente è considerato il loro capolavoro: “Secret Treaties”. La recensione di questo disco, innanzitutto, acquista valore particolare se consideriamo il fatto il fatto che in questo anno ricorre il trentennale dalla sua uscita. 

Si comincia con “Career of Evil”  che  cattura subito l’attenzione dell’ascoltatore. In questo pezzo giocano un ruolo molto importante le tastiere che aggiungono particolare lustro al pezzo. La track si sviluppa lungo varie linee melodiche e si denota un ottimo lavoro sia in ambito vocale che per quanto riguarda la sezione ritmica: brillante ed incisiva allo stesso tempo.  Il tutto è impreziosito da un riffing che, aggiungendosi alle tastiere, conferisce una certa corposità alla struttura di base del brano. Il lavoro solistico, infine, dona ulteriore godibilità ad una song d’apertura di ottima fattura.
Proseguendo nell’ascolto ci si imbatte in “Subhuman” viene ripreso in parte il discorso intrapreso nella precedente traccia, con la differenza che qui le chitarre vengono messe più in evidenza. Colpiscono la classe e l’eleganza degli arrangiamenti che, in questo pezzo vengono studiati senza sacrificare la forza d’urto del riff portante della canzone. Più nel dettaglio è molto ben costruito il contrasto tra momenti di più forte impatto sono a momenti di “apertura” melodica.  
Con “Dominance and Submission” ci troviamo ad una vera e propria perla del disco. Subito l’ascoltatore viene rapito dalla bellezza del riff d’apertura, minaccioso e accattivante allo stesso tempo. La sezione ritmica, poi, dona dinamicità al riffing calibrando le ritmiche a seconda dello sviluppo del brano stesso (lode in particolare al drumming di Albert Bouchard). Riusciti in maniera particolare risultano anche gli intrecci chitarristici che donano ulteriore godibilità al pezzo. Questa traccia raggiunge il culmine nell’assolo, la cui irruzione viene introdotta da un “crescendo” melodico molto suggestivo, che colpisce l’ascoltatore per la sua grande dinamicità catalizzatrice del resto degli strumenti.
La successiva “ME 262” è un’altra track da segnalare tra le migliori del platter, costruita com’è su un riffing vigoroso sostenuto da ritmiche potenti e piene di brio. Suggestivo il corredo sonoro (facilmente si può udire il suono della contraerea, soprattutto sul finire del pezzo).
“Cagey Cretins” sorprende subito l’ascoltatore con un riffing diretto e pieno di vigore, sostenuto da una sezione ritmica che sottolinea a dovere la forza d’urto del lavoro chitarristico. Quasi in contrasto con questa impalcatura complessiva della song, risulta particolare il lavoro coristico lieve e piacevole allo stesso tempo. Si passa a “Harvester of Eyes” anche in questo caso è il lavoro delle chitarre a colpire l’ascoltatore. Il riffing alterna momenti melodici e brillanti ad altri in cui il tema fondamentale viene irrigidito e supportato da ritmiche più sostenute, per poi trovare sbocco finale lungo tematiche cupe e minacciose. Il disco sta volgendo a termine e la settima traccia “Flaming Telepaths” stupisce subito l’ascoltatore con una coinvolgente apertura di brano melodica  ed efficace insieme, merito di un ottima sinergia tra chitarre e pianoforte. La forza di questo pezzo, altra perla dell’album, è  la tensione che l’insieme degli strumenti riesce a conferire all’ascoltatore, in un continuo alternarsi di parti quasi sofferte e di momenti più vivaci.
“Astronomy”, brano di chiusura dell’album, chiude davvero in bellezza questo straordinario platter. Anche qui la band ha facile gioco nel catturare l’attenzione dell’ascoltatore con un riffing limpido, diretto e dalle melodie di facile presa. Qui le chitarre si amalgamano molto bene al lavoro pianistico. Molto ispirate le vocals, molto espressive e impostate come se fossero una sorta di narratore fuori campo. 
In conclusione questo “Secret treaties” può essere considerato l’opera più riuscita dei Blue Oyster Cult, dove si può con certezza notare quanta originalità compositiva e maturità tecnico-strumentale il combo abbia raggiunto e che sarà la base per il successivo svilupparsi della carriera.

Nota finale:

Nell’edizione remasterizzata è possibile ascoltare ottime traccie inedite quali “Boorman the Chauffeur”, Mommy” e “Mes Dames Sarat”, oltre alla cover della celebre “Born to be wild” (degli Steppenwolf), riletta secondo il gusto e lo stile dei BoC, nonché alla single version di “Career of Evil”.

Tracklist:

1. Career Of Evil
2. Subhuman
3. Dominance And Submission
4. ME 262
5. Cagey Cretins
6. Harvester Of Eyes
7. Flaming Telepaths
8. Astronomy
9. Boorman The Chauffer (previously unreleased)
10. Mommy (previously unreleased)
11. Mes Dames Sarat (previously unreleased)
12. Born To Be Wild (single B-side)
13. Career Of Evil (single version)

Line UP:

Allen Lanier (guitar, keyboards)
Eric Bloom (guitar, vocals)
Albert Bouchard (drums)
Donald Roeser (guitar, vocals)
Joe Bouchard (bass, vocals)

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