Recensione: Sedition

Di Daniele D'Adamo - 6 Aprile 2012 - 0:00
Sedition

Dopo gli ottimi risultati ottenuti con “The Vile Conception” (2008) e “Paradogma” (2010) ritorna, più violento che mai, il brutal death metal degli Hour Of Penance. Il nuovo, devastante attacco all’apparato uditivo degli affamati di death si chiama “Sedition”, che è anche il quinto full-length per i romani, registrato ai Cellar Studio della capitale con la produzione di Stefano Morabito e quindi stampato dalla label statunitense Prosthetic Records.

Attorno al chitarrista Giulio Moschini e al bassista Silvano Leone, rispetto a “Paradogma”, è avvenuto un importante cambio di line-up: il chitarrista Paolo Pieri (Aborym, Promaetheus Unbound, Shoreborn, ex-Malfetoir) al posto di Francesco Paoli alla voce e Simone Piras invece di Mauro Mercurio alle pelli. Una mezza rivoluzione che, però, non ha impedito agli Hour Of Penance di procedere imperterriti per la loro strada, lastricata – davvero – di buone intenzioni.   

È immutabilmente spaventoso, difatti, l’impenetrabile muraglione di suono eretto da Moschini e da Pieri; quest’ultimo evidentemente a suo agio con l’impostazione stilistica dettata dal primo. Con, in più, l’evidente apporto black da parte dell’axeman degli Aborym, che intaglia profondamente d’oscuro il mood posseduto dalla musica del combo capitolino. Con che, le tessiture ritmiche messe giù dal micidiale duo si manifestano come fra le migliori, in senso assoluto, in ambito brutal. In primis evitando di far sembrare ‘zanzaroso’ il suono delle chitarre come, purtroppo, spesso accade altrove, ponendo l’accento su riff di scuola thrash, quindi possenti, robusti, quadrati, chiari, ben definiti. Poi, rifinendo questa massiccia ma mobilissima base armonica con accordi dissonanti, soli laceranti e lugubri arzigogoli dall’impeccabile esecuzione strumentale. Il matrimonio fra l’incredibile lavoro delle sei o, meglio, sette corde e il resto è forse l’elemento più riuscito di “Sedition”. La sinergia fra le varie parti della band è, infatti, senza pecche. I Nostri sono così ben amalgamati fra loro che, per esempio, non avviene l’inciampo della discrasia derivante da riffing lenti e cadenzati in corrispondenza di drumming esasperati, o viceversa. Merito di ciò, stavolta, della formidabile sezione ritmica, capace di non perdere nemmeno un grammo di potenza durante le più violente frustate dei blast beats. Ed è qui che si forma, più coesa che mai, l’unione sacra o meglio profana di cui si è più sopra accennato. Un unico, mostruoso agglomerato di note sparate alla velocità della luce; celebrato da Pieri, stavolta alla voce – dall’impostazione senza difetti – , come nero officiante dal profondissimo growling.        
 
E non scherzano neppure le canzoni! I trentun minuti di durata di “Sedition” non sono teoricamente poi tanti ma figurano talmente intensi da sembrare, in pratica, il doppio. “Transubstantiatio” è l’incipit costruito con i cori ecclesiastici che ci vuole per preparare l’apparato uditivo all’assalto di “Enlightened Submission”, sfascio dissonante che trasporta la mente nella trance extra-corporea da iper-velocità. I toni sono tetri, tenebrosi, puzzano di zolfo cristallino da cavità infernale e fanno da legame con la successiva devastazione, totale, apportata da “Decimate The Ancestry Of The Only God”, vagamente slayeriana nella costruzione dei riff di chitarra anche se Piras e Leone volano a mach ben superiori a quelli cui si limita il thrash. Il durissimo ritornello, stentoreo e riottoso, rende consapevoli che, già al secondo brano, difetta l’ossigeno. Per calcare la mano giungono le dissonanze di “Fall Of The Servants”, ‘assurdamente’ accattivanti nella loro malignità. Nessuna pietà: dopo una breve introduzione ambient/horror, “Ascension” lacera ancora più a fondo le carni con il suo mid-tempo dalla pesantezza esasperata e la sua nerissima personalità, esaltata da una riuscita orchestrazione finale. “The Cannibal Gods” riporta un po’ in auge certi elementi armonici, molto drammatici, più tipici, forse, della passata produzione. Il drumming di Piras è semplicemente spaventoso e, inevitabilmente, porta alla follia. “Sedition Through Scorn” è l’ennesima bombardata dalla precisione chirurgica sui denti mentre “Deprave To Redeem” è una vera e propria goduria per chi ama il completo disfacimento delle vertebre cervicali: death/thrash all’ennesima potenza, cattiveria e aggressività. Roba da delirio! “Blind Obedience” chiude il disco nel miglior modo possibile. Cioè, rasando tutto al suolo con la lama dell’arcigna mietitrice.    

Inutile cercare altrove quanto si ha il meglio in casa: gli Hour Of Penance sono a uno stadio evolutivo di maturazione tecnico/artistico assoluta, e sarà difficile, per il Resto del Mondo, battere la brutalità di “Sedition”.  
    
Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Transubstantiatio 0:59     
2. Enlightened Submission 3:39     
3. Decimate The Ancestry Of The Only God 4:49     
4. Fall Of The Servants 3:20     
5. Ascension 4:04     
6. The Cannibal Gods 3:56     
7. Sedition Through Scorn 3:26       
8. Deprave To Redeem 4:02     
9. Blind Obedience 3:09            

Durata 31 min.

Formazione:
Paolo Pieri – Chitarra e voce
Giulio Moschini – Chitarra
Silvano Leone – Basso
Simone Piras – Batteria