Recensione: See You At The End

Di Stefano Santamaria - 21 Gennaio 2017 - 0:00
See You At The End
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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85

Gradevole e delicato come il sole pomeridiano di primavera, ecco di fronte a noi l’affettuoso gesto d’amore dei britannici Last Flight To Pluto.

La cantante, Alice Freya, è una veterana delle cover-band, ed il batterista Daz Joseph è ex-membro degli Ezra. Il sound dei nostri, è un vero e proprio registro in libertà delle più svariate espressioni, sempre però tenendo costante un certo gusto per le melodie e la sofisticatezza. I colori, seppur capaci di sfumare via via allo scorrere del tempo, hanno la costante peculiarità di essere perennemente luminosi, dall’alba al tramonto di una giornata piena di giovialità.

Parlando più strettamente di musica, il progressive è la base da cui tutta la genialità dei Last Flight To Pluto si sviluppa. L’altra componente preponderante è l’affabile tocco pop rock del progetto. Non finisce però qui, poiché lapilli electro colorano il cielo dei britannici, intrecciandosi ad un’animosità ed a ritmiche che sfiorano il concetto di funk.

L’alchimia che si crea è sorprendentemente efficace, partendo dal passato, ed arrivando al presente: Rush, Genesis, Jethro Tull e Massive Attack si affacciano idealmente al pop, mantenendo elementi etnici ma restando al passo con i tempi, ed osando anche al rap.

Ci lasciamo accarezzare, cullati da un entusiasmo che oseremmo dire quasi fanciullesco, nonostante la seriosa componente tecnica che soggiace perennemente nei virtuoso degli strumenti.   Ci piace la libertà e comunicatività dei Last Flight To Pluto, linguaggio che feconda anche i più restii agli sperimentalismi ed ai compromessi.

Le armonie sublimano in vibrazioni che attraversano il cuore, mostrando sempre una pregiata competenza. Perfezionisti ma allo stesso tempo fruibili, i brani scivolano via, lasciandosi alle spalle quei toni seriosi ed a volte difficilmente assimilabili del progressive più classico. Se non siete degli ascoltatori tradizionalisti, potreste qui apprezzare contaminazioni per nulla scontate. Tra l’altro, anche i meno avvezzi al sofismo strumentale, potranno innamorarsi del lato pop dell’album, abbracciando un’ampia gamma di pubblico, senza però mai per un istante inciampare nella banalità.

Questa è musica a trecentosessanta gradi, passione che non ha limiti. Alcuni storceranno il naso, ma noi crediamo che molti altri dovrebbero prendere esempio dalla classe, genuinità e buongusto di codesti interpreti. Pregiati.

 

Stefano “Thiess” Santamaria

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