Recensione: Servants of the Countercosmos

Di Giuseppe Casafina - 18 Giugno 2017 - 11:27
Servants of the Countercosmos
Band: Wode
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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85

E’ solo dello scorso anno, l’album dei debutto omonimo dei Wode, formazione britannica dedita ad una personale reinterpretazione del ‘Metallo Nero’: un disco sorprendente, dai suoni volutamente grezzi ma decisi ed un songwriting di buon livello, tutte doti in grado di portare immediatamente il nome di questa band in alto nelle classifiche d’interesse degli appassionati di queste sonorità.

Oggi è il turno di “Servants of the Countercosmos”, disco che suona a tutti gli effetti come una decisa volontà di affinare le doti del disco precedente ed allo stesso tempo elevare la proposta verso nuovi, ambiziosi traguardi sonori: a partire dalla bellissima copertina e da una nuova casa discografica disposta a credere fortemente nel progetto (la nostrana, storica Avantgarde Music), questo ultimo platter getta immediatamente le carte in tavola per colpire l’ascoltatore nel modo giusto.

‘Crypt of Creation’ parte atmosferica, eterea, per poi pian piano assestare un crescendo in grado di esplodere nell’assalto vero e proprio del pezzo: un gran riff, classico ma proposto con il giusto, feroce arrangiamento. La produzione è cambiata, ora siamo lontani dal ricercato grezzume dell’esordio, favorendo una pulizia generale dei singoli strumenti che dona a questo disco un’aura decisamente più ‘leggera’ da digerire rispetto al pesantissimo (dal punto di vista dei suoni) disco precedente. Il songwriting è efficace al punto giusto e nulla pare lasciato al caso: i cambi di tempo sono inseriti quando serve (bellissimi i momenti infarciti di accellerazioni assassine al confine con il Black & Roll) e le singole parti paiono perfettamente bilanciate nel climax generale del pezzo. L’atmosfera sprigionata è paragonabile a quella di un Maelstrom in grado di trascinarti verso una dimensione ignota e dalla luce fioca, esattamente come la copertina scelta per il lavoro…scelta azzeccata quindi!

‘Celestial Dagger’ parte in mid-tempo con un classico riff di estrazione death/black, tra i Celtic Frost e la scuola norvegese più pura (i Darkthrone più personali) per poi discendere verso un rallentamento memorabile impregnato di un lead chitarristico che ti si stampa subito in testa, un lead che da qui in poi segna un vero e proprio trademark della formazione di oltremanica per via di un certo stile nelle melodie che da qui in poi apparirà subito riconoscibile: il songwriting in questo caso non si perde in eccessivi fronzoli, si tratta di poche parti ripetute quando serve ma servite sempre nel modo migliore, tanto che il minutaggio degli episodi scorre sempre in maniera fluida e mai forzata, rendendo il tutto molto fruibile. Arriva ‘Temple Interment’ e con sé porta un riff di scuola death metal ed un blast beat che trascina l’ascoltatore in un nulla cosmico infarcito di violenza sonora elargito con maestria: si tratta del brano più fortemente death del lotto, con numerosi riff in grado di richiamare alla lontana quanto forgiato da Morbid Angel amalgamando tutto in uno stile personale che ben si rivela nel finale: sospesi per pochi secondi nel cosmo, si riparte a rotta di collo con un momento di puro noise chotarristico, per poi trascinarci verso un finale che altro non fa che riprendere i motivi iniziali.

La title-track ( – forse per via della sua dichiara opposizione al Cosmo? – Nda) è un richiamo ai Dissection che furono (inevitabile non pensare a Jon Nodtveidt con riff di questo calibro…), tanto che a momenti, se non fosse per la voce, sembrerebbe davvero di avere a che fare con Nodtveidt & Co! Ma la formazione riassesta subito l’equilibrio con certe soluzioni ormai tipiche di questo lavoro, come certi riff di scuola Celtic Frost, oltre che sfoggiando un chitarrismo oltremodo personale dotato, come già anticipato, di un senso della melodia ‘100% Wode’. Nel finale si ritorna sui lidi cari ai Dissection che furono, ma l’accurata produzione per fortuna evita ai Nostri di essere confusi proprio con la storica formazione svedese: il suono di chitarre ha una seria personalità ed è ben lontano dallo scimmiottare quel suono gelido ed anticosmico tipico del death/black sfornato a suo tempo dalla compianta formazione nordica.

Si arriva al pezzo finale e ‘Chaosspell’ non è solo un pezzo, bensì è un vero e proprio cavallo di battaglia del disco, autentica manifestazione di intenti devota all’opposizione del Cosmo, nel nome di tutto ciò che è antimateriale, indefinito, caotico. Un pezzo dove, nonostante i 9 minuti di durata, la formazione sfoggia tutte le sue qualità nel forgiare un brano assolutamente sopra la media delle band black attuali, a metà tra momenti di puro black metal atmosferico (quasi vicini al depressive) e le ormai classiche sfuriate del combo britannico, con tanto di pregevoli assoli di chitarra (sempre personali) e rallentamenti in grado di donare una verve di ampio respiro al songwriting a quattro (paia di) mani di questi musicisti devoti al Culto Anticosmico…il finale è, davvero, sbalorditivo e malinconico, con una bellissima melodia di fondo che sfocia nella outro ‘Undoing’, vero e proprio ultimo atto di respiro di questa Opera Nera, ultimo atto dove un inquietante arpeggio acustico si lancia in un breve saliscendi di atmosfere, per poi spegnersi, definitivamente quanto lentamente.

Solo 31 minuti di durata: un disco che, nella sua ricerca di ‘leggerezza’ rispetto al debut (che superava i 50 minuti di durata), ha anche eliminato ciò che non serve ( – …filosofia Acqua Rocchetta? – Nda ) allo scopo di portarsi appresso solo l’essenziale, quel che basta all’ascoltatore per calarsi nella musica plasmata dal combo, senza inutili orpelli di sorta. Obiettivo riuscito anche da questo punto di vista.

In finale, mi sentirei tranquillamente di affermare che non solo i Wode hanno fatto centro, ma sono riusciti a perfezionare ulteriormente la loro proposta ed elevarla a qualcosa di più: sebbene non siamo al cospetto di uno stile pregno di assoluta originalità e nemmeno di un’opera trascendentale, i Nostri riescon comunque a dire la loro senza mai risultare spudoratamente derivativi ed anonimi, assemblando un discorso di adorazione del ‘Vuoto Che Tutto Annulla’ ad alto livello di ispirazione! Se consideriamo che il disco di debutto è solo dello scorso anno, ci sarebbe quasi da gridare al miracolo: che i Nostri forse abbiamo davvero stretto un patto con il Maligno?

In fondo “We Sold Our Soul for Rock ‘n’ Roll” era un motto coniato a loro tempo proprio da alcuni inglesi oggi entrati nella storia…

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