Recensione: Session One

Di Fabio Vellata - 3 Luglio 2014 - 0:05
Session One
Band: ArrJam
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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75

“Gli Arrjam Project sono una band “itinerante” che accoglie chiunque voglia suonare con i quattro membri fissi del gruppo per esprimere le proprie ispirazioni attraverso una jam session priva di qualsiasi restrizione”.

Affascinante l’idea del bassista Daz (Vicolo Inferno) che, accompagnato da un manipolo di valenti musicisti, mette in scena un progetto dai contorni che non possono essere circoscritti o ingabbiati in alcun tipo di coordinata stilistica, genere o sottogenere.
Potremmo chiamare quello degli ArrJam, rock strumentale, progressive, jazz, funk, blues, hard rock, fusion, inserendo in mezzo tutto quanto può saltar fuori nel lasciare libero sfogo agli strumenti suonati, alla creatività ed alla fantasia. Comprese un po’ di voglia di sperimentare ed un pizzico d’ironia.
L’idea è proprio questa: la musica va dove scorre l’istinto. Ed i brani, per lo più lunghi ed articolati, che ne derivano, assumono così una forma ben di rado assimilabile ad una canzone definita, quanto piuttosto, la fisionomia di una jam session frutto di estro ed improvvisazione, quasi fosse il prodotto di uno show dal vivo nel corso del quale conferire ad un tema base tutte le divagazioni, i tratti e le scorribande che in quel preciso istante lo strumento concede.

Per poterla mettere in pratica, inutile dirlo, è necessario essere in possesso di una tecnica al di sopra della norma, priva di incertezze ed utile nel trasferire immediatamente idee e sensazioni al proprio strumento.
Un carattere peculiare che non difetta davvero al quartetto qui rappresentato, in grado di spazire ovunque con indubitabile maestria cui, nemmeno di rado, vanno ad assommarsi doti d’insospettabile buon gusto ed istinto melodico.
Il concetto base che ne deriva, ha in qualche modo senso qualora paragonato ad un album dei Liquid Tension Experiment, mediati però da un retrogusto che non è prettamente progressivo ma molto più spesso abbraccia ritmiche sincopate al limite del funky.
Non a caso Daz ed il batterista Moretti Butcher hanno nel loro curriculum la partecipazione in una cover band esperta nel riproporre brani di Red Hot Chili Peppers, Primus e Living Color: l’anima saltellante del funky si sente e non tarda a manifestarsi nelle varie composizioni con una certa costanza.

Come ovvio, la natura parecchio indefinita degli ArrJam potrebbe risultare indigesta a chi, da un album, pretende anzitutto un minimo di continuità stilistica e qualche rassicurante coordinata base cui appigliarsi per una migliore comprensione.
Tuttavia, l’idea di “universalità” musicale, così come intesa da Daz e compari, possiede un indubbio fascino. Fascino che risulterebbe comunque fine a se stesso se, a rimorchio, non arrivassero pure situazioni comunque capaci di gratificare l’orecchio.
A dirla tutta, sin dall’opener strumentale  “Ali” (titolo già di per se evocativo) l’idea di un “che” ricco di personalità è ben evidente, tanto da assurgere a livelli più che notevoli nei passaggi liquidi ed arditi di “Welcome To The Cocaine”, “Smashing On The Wall” ed “Incomplete”. Pezzi che privilegiano i fraseggi tra ritmica e chitarre, indicatissimi per gli amanti degli album in cui la trama è una lunga digressione che si dipana con il fluire infinito delle note. Ma che, in ogni modo, non mancano di mostrarsi in più parti piacevoli e non scevri da una qualche forma di orecchiabilità.

Menzione d’obbligo poi per la breve “Screaming For”, traccia singolarmente ironica in cui, ciò per cui tanto si sbraita null’altro è che la “merce” da sempre più ricercata dagli uomini di tutto il mondo…

“Session One” non è insomma, il disco che si potrebbe consigliare a colpo sicuro a chiunque. Pur tuttavia, le doti di originalità e voglia di andare oltre schemi preconfezionati che ne pervadono l’essenza sono, a conti fatti, più che sufficienti a farne apprezzare gli esiti senza riserve di nessun tipo.
Ci sono estro, tecnica, alcune buone idee e pure alcuni momenti “semplicemente” gradevoli da ascoltare: quanto basta per un riuscito disco di debutto.

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