Recensione: Seven Churches

Di Federico Mahmoud - 13 Febbraio 2005 - 0:00
Seven Churches
Band: Possessed
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
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90

Lucifer laughs, His needs are fullfilled
The flames are now burning hot
Bodies are burning, the people are killed
Torture the reason we fought

Death Metal

Signore e signori, Seven Churches. Quaranta minuti di inferno sonoro che consegnano alla storia il monicker Possessed e gettano le basi per la nascita di un nuovo genere: il death metal.

I primi vagiti della band risalgono al 1983, quando il chitarrista Mike Torrao unisce le proprie forze a quelle di Mike Sus, aspirante batterista, per suonare del sano speed metal in un vecchio garage di San Francisco. Ad accompagnarli per un breve periodo c’è il bassista/cantante Barry Fisk, che si toglie tragicamente la vita quello stesso anno lasciando i due (giovanissimi – l’età media si aggirava sui 15 anni) compagni ad un punto morto. Il reclutamento di Jeff Becerra, già all’opera nei conterranei Blizzard, si rivela provvidenziale: nascono ufficialmente i Possessed.
Il 1984 è un anno ricco di impegni. Il four-piece californiano (divenuto tale dopo l’inserimento di un secondo chitarrista, Brian Montana) è attivissimo on the road a supporto degli amici Exodus, con i quali sono messi a ferro e fuoco i palchi di mezza Bay Area, e non manca l’occasione di incidere la tanto agognata demo-tape, intitolata emblematicamente Death Metal. A prescindere dal risultato finale (peraltro più che buono, tanto che alcune blasonate label si attiveranno sin da ora per contattare i nostri), ciò che colpisce è la proposta assolutamente sconvolgente del combo: una versione feroce degli Slayer, basata su riff essenziali e crudi, tempi velocissimi e una voce registrata direttamente dall’oltretomba. Una formula che convince, tra gli altri, un certo Brian Slagel, capo dell’emergente Metal Blade che nel giro di due anni si è fatto un nome con la compilation di successo intitolata Metal Massacre (già illustre rampa di lancio per giganti come Metallica, Slayer, Overkill, Armored Saint, Warlord, Voivod). Alla band è offerto un posto nel sesto volume della serie, un’opportunità da non perdere assolutamente per chi cerca visibilità nell’affollato panorama a stelle e strisce; i nostri compongono per l’occasione Swing Of The Axe – poi riproposta nell’ep The Eyes Of Horror – che, nonostante l’agguerrita concorrenza (tre nomi su tutti: Dark Angel, Hallows Eve e Hades), viene tributato come il miglior brano della raccolta.

Forti della fama guadagnata con il sesto episodio di Metal Massacre, Becerra e compagni non perdono tempo, e l’anno successivo è pronto un tre-tracce senza titolo che spalanca le porte della Combat. Cacciato Montana (mai troppo convinto della direzione concettuale voluta dai compagni, a base di croci rovesciate e borchie a tutto spiano) e accolto il più dotato Larry LaLonde, i Possessed firmano un contratto per due album e si barricano in studio, in concomitanza con le vacanze di Pasqua che hanno chiuso le scuole della California.
Il risultato finale è acclamato come uno dei debutti più folgoranti nella storia dell’heavy metal – lasciando stare ogni sotto-catalogazione di sorta – e diviene ben presto il primo best-seller per la Combat, all’epoca tra le label più quotate nello scovare nuovi talenti emergenti sul suolo americano.
Cercare di inquadrare Seven Churches in poche righe è impresa alquanto ardua: non basterebbe un libro per elencare tutte gli artisti che hanno attinto a piene mani dal sound del four-piece di San Francisco, senza considerare l’immaginario truculento inaugurato dal vivo, un primitivo face-painting a base di grondante sangue finto.
L’ombra dei migliori Venom si nasconde tra i solchi di questo album, ma la band ci mette del suo per confezionare un prodotto destinato a lasciare un’eredità pesantissima, dieci schegge impazzite che tracciano un segno indelebile nel dna di una generazione di ascoltatori, in un periodo in cui la sperimentazione e la ricerca di sonorità sempre più estreme sono all’ordine del giorno.

L’impatto con le prime note di The Exorcist è micidiale: introdotto da un tributo all’omonimo film di Friedkin, il brano esplode in una cavalcata metallica dal feeling apocalittico ed oscuro, in cui i fraseggi morbosi delle due asce si incrociano magistralmente su un tappeto ritmico minimale; su tutto si ergono le leggendarie urla di Becerra, growler ante-litteram citato in tempi non sospetti da un tale chiamato Chuck Schuldiner come primo alla voce ‘Influenze’.
Il resto del materiale conferma la teoria secondo cui i Possessed non sono solo una versione più estrema degli Slayer formato Show No Mercy. C’è di più. Le composizioni trasudano un sentimento di genuina malvagità difficilmente eguagliabile dai prodotti dell’epoca – solo Bathory, Celtic Frost o la prima incarnazione degli Onslaught raggiungono tali livelli – e l’impressione generale è quella di trovarsi di fronte ad un platter che di blasfemo non ha esclusivamente la copertina.
La scelta di alternare bordate in piena regola a passaggi più meditati ed evocativi è assolutamente brillante, e brani come Pentagram, Fallen Angel, Holy Hell o l’incredibile title-track – che anticipa di un lustro il materiale dei Deicide – diventano immediatamente dei classici del repertorio. Spettacolare la chiusura del platter, affidata alla già menzionata Death Metal: un marasma sonoro che dà i natali ad un nuovo genere – Scream Bloody Gore dei conterranei Death parte da qui – e suggella quello che rimane il punto più alto nella storia del combo di San Francisco.

Il 1985 è l’anno di grazia per Becerra e compagni. Nonostante la strenua opposizione della censura, insorta alla luce dell’iconografia blasfema adottata dalla band, Seven Churches vende benissimo e proietta i quattro teen-ager – è il caso di ribadirlo – in un lungo tour a supporto di Venom e Slayer che terminerà l’anno successivo, poco prima dell’uscita di Beyond The Gates. Vent’anni dopo, il debutto dei californiani è ancora indicato come una tappa imprescindibile per comprendere a pieno l’evoluzione della musica dura: ma che genere suonano effettivamente i Possessed?
Seven Churches è un album di difficile inquadratura: musicalmente si segnala come naturale evoluzione (o esasperazione?) di certo thrash metal d’annata – da qui il genere indicato nella recensione – ma la dinamica dei brani, nonché alcune pionieristiche decisioni in sede di registrazione (non ultima la scelta di conferire un sound abrasivo e sinistro alle chitarre, a tratti simili a motoseghe impazzite) assicurano che il passo al death metal è più breve di quanto si creda.
Death metal, questo sconosciuto. Nonostante a molti la risposta sembri scontata, è difficile stabilire con certezza chi abbia introdotto per primo questo termine nel mondo dell’heavy metal. Pare che anche Quorthon, mente dietro al progetto Bathory, avesse coniato questa dicitura per descrivere la proposta della sua band nello stesso periodo in cui i nostri registravano la prima demo-tape; da non dimenticare, del resto, che proprio nel 1985 i britannici Onslaught davano alle stampe quel Power From Hell il cui retrocopertina recitava a lettere cubitali ‘Death Metal’, oltre a contenere un pezzo dallo stesso titolo. E chi ricorda la mitica compilation della Noise, nonostante il titolo poco azzeccato? La faccenda, come si può notare, è più complicata del previsto.
A prescindere da sterili dispute e rapide quanto improbabili catalogazioni, Seven Churches resta un platter seminale, un’assoluta pietra miliare da non perdere per chi desidera riscoprire le autentiche radici di una bella fetta di metallo estremo e diabolico. Bring out the Evil from its crypts…che la maledizione sia con voi!

Track-list:
01 The Exorcist
02 Pentagram
03 Burning In Hell
04 Evil Warriors
05 Seven Churches
06 Satan’s Curse
07 Holy Hell
08 Twisted Minds
09 Fallen Angel
10 Death Metal

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