Recensione: Seventh Star

Di CirithUngol - 16 Ottobre 2004 - 0:00
Seventh Star
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Anno: 1986
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80

I contrasti venutisi a creare durante il tour di supporto a Born Again culminarono con lo sgretolamento completo della band. Ian Gillan abbandonò i Sabbath immediatamente dopo il tour, portato a conclusione solo per gli impegni contrattuali, mentre le precarie condizioni fisiche di Bill Ward costrinsero Butler e Iommi alla difficile decisione di estrometterlo per la seconda volta, sostituito ad inizio tour da un certo Bev Bevan che a sua volta venne invitato ad andarsene a fine tour.
Dal punto di vista commerciale Born Again fu un netto passo indietro rispetto ai precedenti Heaven & Hell e Mob Rules e fece storcere il naso ai dirigenti della Vertigo che decisero di abbandonare i Sabbath non appena appresero la clamorosa notizia che anche Geezer Butler decise di abbandonarela band. In pieno fermento thrash, senza un contratto e con il solo Tony Iommi unico membro originale, sembrava che anche per il gruppo tra i più influenti che la nostra musica avesse mai partorito fosse giunta l’ora della fine.

Quando tutto sembrava ormai decretare la morte del sabba nero giunse una notizia che fece ritornare il loro nome all’attenzione del grande pubblico. I Black Sabbath in formazione originale vennero invitati al Live Aid, colossale concerto di beneficenza organizzato da Bob Geldof. I componenti dei Sabbath comunque sottolinearono che non ci sarebbe stato assolutamente un seguito nè a livello live nè dal punto di vista discografico. Tuttavia l’incredibile accoglienza che la band ricevette fece immediatamente cambiare idea ai dirigenti della Vertigo che riassorbirono il nome Black Sabbath nel proprio catalogo.

Da questo punto in poi si susseguirono all’interno della formazione un’infinità di musicisti. Per un breve periodo rientra anche Geezer Butler per poi essere rimpiazzato nuovamente da Dave Spitz fratello minore del più celebre Dan degli Anthrax. Alla batteria venne reclutato Eric Singer mentre per il difficile compito di non far rimpiangere gli storici singer sabbathiani venne reclutata la splendida voce dell’ex Deep Purple Glann Hughes. Il nuovo capitolo discografico esce nel 1986 con l’insolito moniker “Black Sabbath featuring Tony Iommi” moniker che lo stesso Iommi definì come uno sbaglio in quanto Seventh Star è da considerarsi un disco dei Black Sabbath al 100%.

Il nuovo capitolo segna un taglio nettissimo nei confronti del precedente Born Again. Il suono cupo ed ossessivo che caratterizzò il capitolo Gillan venne completamente abbandonato in favore di un Heavy Metal classico con al suo interno diverse influenze. Avviene ciò in canzoni come la stupenda Earth Like e Wheel dove si toccano addirittura territori blues.
Il compito di aprire le danze è affidato alla tellurica In For The Kill, una song abbastanza veloce costruita su di un bel riff portante accompagnato da un ottimo lavoro di batteria che mette il luce le capacita del nuovo Eric Singer. No Stranger to Love è abbastanza atipica nel repertorio sabbathiano. Si tratta di una ballad elettrica di ottima fattura che all’epoca venne omaggiata anche da un video a dir poco orrendo, da notare il buon arrangiamento condito dalla calda voce di Hughes. Si torna a parlare di puro metallo con la successiva Turn To Stone , anch’essa caratterizzata da una velocità sostenuta e refrain incalzanti mentre un breve brano strumentale anticipa la stupenda title track nella quale la mente geniale di Tony Iommi partorisce un riff ipnotico dall’andatura cadenzata rimanendo costantemente in primo piano per tutta la durata della canzone e conferendo all’ascoltatore una strana sensazione di indefinito e crepuscolare. Si ha l’impressione che da un momento all’altro debba succedere un qualcosa che spezzi l’ossatura monolitica dalla song che invece prosegue il suo cammino creando quasi un senso di inquietudine. Glann Hughes dal canto suo ci delizia con una prestazione sublime calandosi quasi nell’insolita veste di narratore. Una canzone che nella sua scarna semplicità rasenta la perfezione. Il lato b è aperto dalla dinamica Danger Zone caratterizzata dall’ennesimo riff vincente di Iommi che non mancherà di far muovere le vostre folte chiome. L’anthem Angry Heart e la bella ma forse un po troppo breve In Memory chiudono il disco.

In definitiva ci troviamo di fronte l’ennesimo platter targato Sabbath che non ha avuto il successo che avrebbe meritato solo a causa degli stupidi pregiudizi sul post Ozzy. Il voto che vedete in basso è frutto di un analisi sulla discografia sabbathiana, voto che quindi potrebbe lievitare non poco se come termine di paragone ci fosse una qualsiasi metal band attuale.

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