Recensione: Seventrain

Di Fabio Vellata - 17 Febbraio 2014 - 0:01
Seventrain
Band: Seventrain
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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71

Ci arriva direttamente d’oltreoceano la recente proposta messa in pista da Joel Maitoza (ex 24-7 Spyz) ed Eric Horton, (ex Cage), rispettivamente drummer e chitarrista dei Seventrain, nuova realtà a stelle e strisce dalle evidenti connotazioni rock-groove

Originari di San Diego e con un bel po’ d’esperienza sulle spalle, i due musicisti buttano nella mischia un album dal taglio decisamente attuale e moderno, per così dire “trasversale” nel voler accogliere inflessioni puramente southern, blues e rock, frammiste a puntate di esuberanza alternative-groove, in una release che potrebbe senza dubbio essere di qualche interesse per i tanti fan di Alter Bridge, Audioslave e King’s X, ma pure per cultori più “antichi”, ancora attratti dai suoni di Living Colour, Badlands e degli stessi 24-7 Spyz.

Musica dunque dall’approccio estremamente solido e robusto nel chitarrismo “crunchy” di Horton e del compagno d’ascia Jef Poremba, mediata tuttavia da ritmiche a tratti innervate da molta melodia, suggestioni blues e dalla voce di Jon Campos, singer che nell’intonazione e nel modo di interpretare i brani, non fatichiamo molto a riconoscere come fan del sempiterno ed immortale Ronnie James Dio.
Molto “americani” e contemporanei nei suoni e nella produzione (che, in ogni modo, ci è apparsa in alcuni tratti perfettibile e non omogenea), i cinque artisti realizzano un disco d’esordio dalla qualità piuttosto rispettabile seppure non destinato ad ammantarsi di una nomea prossima al capolavoro ed all’acquisto irrinunciabile.

Pezzi che scorrono decisamente bene, senza intoppi o incertezze, possiedono, in effetti, un retrogusto ancora un pizzico deficitario in termini di incisività e di concreto potenziale d’ascolto.
Intendiamoci: le undici tracce inserite in questo buon esordio omonimo, effondono la costante sensazione d’essere alle prese con musicisti di professionalità e preparazione inappuntabili. Eppure, sebbene il passaggio delle singole canzoni appaia al di la di ogni dubbio piacevole e gratificante, al termine, risulta complicato dire di essersi in qualche modo “affezionati” a qualcuna di esse, riservando il commento definitivo ad un “molto carino ma non troppo longevo”.
Per quanto cioè, all’interno della tracklist si rilevino episodi di validissimo groove-blues rock quali “Carry The Cross”, “Bleeding”, “Change” e “Rays Of The Sun”, mescolanze arcigne di Stuck Mojo e Lynyrd Skynyrd con Audioslave e Soundgarden, il finale non consegna termini per lasciarsi andare ad espressioni miracolose, riconducendo il tutto ad una sostanza più che interessante, ancora priva però, della scintilla necessaria a farla volare oltre livelli di moderata soddisfazione.

Sono tuttavia forse gli attimi in cui il quintetto asseconda con maggior efficacia la propria anima più “root” e profondamente statunitense, quelli che si fanno preferire.
Gli echi southern blues di “Broken”, “Pain”, “Trouble”, “How Does It Feel” e, soprattutto, “Bittersweet Seduction” (queste ultime due, con tutta probabilità, gli episodi migliori), convincono senza troppe riserve, offrendo melodie polverose di spiccato sentore “rurale” che, unite talvolta all’esuberanza delle chitarre, mettono a regime alcuni dei momenti meglio riusciti e più godibili dell’intero cd.

Macinano una buona formula di hard rock melodico, coriaceo e contaminato i Seventrain, mostrando caratteristiche d’esperienza ed un songwriting al riparo da incertezze.
Mancano tuttavia i veri pezzi “più”, quelli che, anche a distanza di tempo, portano a rimembrare il disco d’appartenenza suscitando la voglia di reiterarne l’ascolto.
Un probabile limite che, in ogni modo, non pregiudica il buon esito di un’operazione interessante e di un album, senza dubbio, meritevole di qualche chance.

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