Recensione: Severed Monolith

Di Andrea Poletti - 6 Marzo 2017 - 15:00
Severed Monolith
Band: Gorephilia
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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70

Il disco che ogni fan dei Morbid Angel stava aspettando.

Questo è in sintesi il resoconto di tutto ciò che è “Severed Monolith”, secondo album dei Finlandesi Gorephilia; una band che torna sul mercato grazie alla cava di risorse umane denominata Dark Descent Records dopo diversi anni di silenzi. La label è da anni una certezza nel settore di più underground e violento del metal, la sua lista di acts validi e dalle altissime capacità non smette di crescere mese dopo mese, così oggi ci troviamo qua con questo nuovo immenso monolite che farà la gioia di grandi e piccini. Nati nel 2007 i nostri pubblicano il primo “Embodiment of Death” nel 2012 e in questi cinque anni di silenzi a parte il cambio di un chitarrista e del batterista, il carro armato Scandinavo è uguale a se stesso, pronto a tornare in auge grazie a un disco che puzza di old-school fino al midollo, un disco che che prende le prooprie radici nei primi anni 90, li estrapola dal loro contesto degli Stati Uniti meridionali e lo porta in Europa, con quel pizzico di personalità che lascia bene sperare. Certamente non siamo qua a idolatrare e documentare il disco della vita, non siamo di fronte ad una rivoluzione copernicana, ma il suo sporco dovere “Severed Monolith lo fa senza pregiudizi, senza infamia e sopra ogni cosa, senza timore, assestando un pugno in faccia brano dopo brano. Lividi a non finire.

Ora, entrando in merito a quello che è veramente il disco, sette canzoni più tre intermezzi strumentali, possiamo ipotizare un enorme ed immenso macigno che cade sopra la nostra testa, ci schiaccia e ci spappola a dovere, senza copromessi. Uno schiaffo a cinque dita in faccia che lascia quei lividi e quel rossore dopo molti giorni, tutta violenza gratuita servita su di un piatto d’argento grazie ad un death metal che non chiede altro di essere lasciato libero: liberate la bestia! Sin dalla prima e ossessiva ‘Interplanar’ riusciamo a comprendere con quali coordinate stilistiche l’intero album andrà avanti; chi non sente quel tipico riff del periodo “Blessed are the Sick” e/o “Domination” che esce dallo stereo per uccidere tutto il creato? Possiamo vederlo quasi come un omaggio a quella scuola che decadi addietro ha forgiato la contemporanea scena death; ciò che salta all’occhio andando oltre lo stile è quella sensazione di essere di fronte ad un unico grande brano che è stato suddiviso in dieci parti, dove un lungo filo rosso collega ogni istante. Ottime canzoni come ‘Harmageddon of Souls’ con il suo picking infernale, la lenta e sulfurea ‘Black Horns’ con i mid-tempo claustrofobici e la mazzata fatta a canzone denominata ‘Return to the Dark Space’ con degli stacchi al fulmicotone; un growl arcigno e infernale innettato dentro un prestigioso lavoro di batteria non lascia fiatare un minuto. Tutto è studiato minuziosamente per scuotere i morti con una classe cristallina. Certamente non è solamente un crogiuolo di ritmiche rubate al passato, rispetto al primo album i netti miglioramenti sono palesi e l’innesto di piccoli dettagli semi-elettronici con i synth fantascientifici formano quel senso di perdita nello spazio infinito, dettagli che diventano fondamentali. Ciò che lascia basiti sopra ogni cosa è la suite finale da dieci minuti, che onestamente non pare essere stata studiata al meglio; ‘Cruched Under the Weight of God’ ha dalla sua un potenziale enorme ma quel brusco stacco a 5:03 che ci porta nella seconda parte fortemente decontestualizzata dalla prima non ha l’effetto voluto, paiono due brani incollati senza un fine preciso. Probabilmente sarebbe stato il caso di studiarla meglio, ma così è, prendiamone atto.

Possiamo conludere come i Gorephilia hanno senza dubbio rilasciato un album a tratti perfetto, un deja-vù che farà la gioia di molti sostenitori della vecchia guardia, ma a conti fatti non v’è nulla di così miracoloso o estremamente avvincente da far gridare al miracolo. Alcune pecche, come la già citata suite finale, dei riff visti e rivisiti in decadi di death metal non lasciano far parlare di capolavoro, ma è sicuramente un lavoro desitanto a donare molti minuti di pieno piacere. “Severed Monolith”, ovvero Death metal old-school con una verve contemporanea da supportare senza compromessi.

Il disco che ogni fan dei Morbid Angel stava aspettando.

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