Recensione: Shaped by Fire

Di Daniele D'Adamo - 20 Settembre 2019 - 0:02
Shaped by Fire
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2019
Nazione:
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2012. “Awakened”, ultimo album prima delle ben note vicende che hanno riguardato la vita privata di Tim Lambesis.

2019. Dopo sette anni, con la stessa formazione – sintomo di fedeltà e lealtà verso se stessi, verso i fan, verso il medesimo Lambesis – è il momento del ritorno, per gli As I Lay Dying. Un ritorno che si concretizza con il settimo full-length in carriera, “Shaped by Fire”.

E là, da dove erano rimasti, sono ripartiti. Senza mutare il proprio stile se non per dargli una spolverata, semplicemente aggiornandolo alle novità in materia che via via si sono succedute per definire, con esattezza, che cosa si intenda, oggi, per melodic metalcore. Del resto, la base di partenza era già a vette di qualità tecnico/artistica inarrivabili ai più per cui è stato sufficiente un leggero aggiornamento del proprio sound.

Così, i Re sono di nuovo in pista. Sì, i Re, poiché, al momento, non c’è nessuno che riesca ad avvicinarsi alla maestosa interpretazione di un genere spesso bistrattato ma che, al contrario, se approcciato con la giusta attitudine, la corretta esecuzione tecnica e, soprattutto, con tanta anima e cuore, si può tranquillamente premiare con la palma di una delle migliori ramificazione del metal. Estremo, in questo caso. Sebbene, come più su scritto, si tratti di metalcore melodico, gli As I Lay Dying innalzano davanti a loro uno spaventoso, vertiginoso, infinito muro di suono, tale da far impallidire anche coloro che si spingono verso l’estremo più estremo del metal… estremo!

Le chitarre di Phil Sgrosso e Nick Hipa producono riff durissimi, brutali, aggressivi, taglienti come lame di un rasoio alla maniera tipica del *-core. Una coppia granitica, capace di eccellere sia nella parte ritmica, sia in quella solista (‘Undertow’, ‘Torn Between’). Riff in grado di far saltare in aria il caveau di una banca, talmente devastanti, potenti, annichilenti, come per esempio quello portante di ‘Gatekeeper’. Un devasto totale, uno sfascio completo dalla violenza inaudita. Chitarre responsabili, anche, di breakdown tanto micidiali quanto mortali. Vere e proprie alternanze di compressioni e decompressioni tali da sconquassare la cassa toracica e da spaccare letteralmente qualsiasi cosa trovino sul loro cammino. Proprio ‘Gatekeeper’ è una delle canzoni più possenti mai scritte da essere umano. Straziata da tremendi stop’n’go, alimentata da una furibonda sezione ritmica viaggiante ad altissime velocità sino a sfondare, far esplodere, la barriera del Regno dei blast-beats, scatenati da Jordan Mancino per una favolosa, allucinante trance da hyper-speed.

Il morbido, suadente incipit di ‘The Wreckage’, che aumenta rapidamente di forza eruttiva, e la traccia stessa, sono da esempio per l’ambivalenza insita nelle linee vocali: tremende, bestiali, ferine quelle del growling di Lambesis, pulite e totalmente melodiche quelle del bassista Josh Gilbert. Che definiscono definitivamente la peculiarità principe del metalcore melodico, antitetico nel proporre cantati dalla furia belluina a ritornelli incredibili che si stampano, a uno a uno, nella memoria.

Certo, questo è un leitmotiv che non muta al variare dei brani, ma questo è il metalcore. Anche se, obiettivamente, la spaventosa pressione sonora alimentata dall’iperbolica potenza di ‘My Own Grave’ fa comprendere che gli As I Lay Dying, con “Shaped by Fire”, non vogliano raccogliere prigionieri. Troppa e tanta la rabbia accumulata in sette anni di silenzio, che deve essere assolutamente estrinsecata con quanta più possanza possibile.

Rarissimi i break semi-acustici o rallentati (per esempio l’intro di ‘Take What’s Left’). Niente da fare, i Nostri per tre quarti d’ora che passano rapidissimi stante la bontà a tutto tondo delle song, la loro immensa classe compositiva nonché la loro feroce abilità esecutiva, non riescono a trattenere la reazione nucleare che dà vita a livelli di carica esplosiva assolutamente distruttiva.

Difficile estrarre pezzi che siano migliori di altri. Come detto, la classe del combo di San Diego è, senza discussioni di sorta, una qualità che raggiunge i massimi livelli in tutti campi compreso, ovviamente, anche quello compositivo. Ebbene, da ‘Burn to Emerge’ a ‘The Toll It Takes’ non si sa nemmeno cosa sia, un calo di tensione, anzi. In taluni momenti, come nella mostruosa ‘Redefined’, intervengono incommensurabili cori anthemici a straziare l’etere, ossimori di chorus stupendi, super-melodici, mai stucchevoli e tantomeno melensi. Anche in questo caso, la sezione melodica degli As I Lay Dying è fra le migliori al Mondo. La quale, neppure per idea, può essere comunque data in pasto al mainstream, talmente è turbolenta, irosa, collerica la proposta nel suo (sterminato) insieme.

Dolore, strazio, gioia, felicità: il Re è morto, viva il Re!

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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