Recensione: ShiHuangDi

Di Marco Migliorelli - 1 Novembre 2012 - 0:00
ShiHuangDi
Band: Thy Majestie
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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82

Un’armata di terracotta sottratta ai mattini del mondo, indifferente a tutti i suoi inverni si scompone in note fra le linee mutevoli di un pentagramma.

Cinque capitani per oltre cinquanta minuti di musica: sinfonia del ritorno.

Lunga via quella percorsa in carriera dai Thy Majestie. Per loro la musica è anabasi della volontà e della passione. Anabasi, un cammino che fra i passi sceglie, a forza di essere destino, il più impegnativo, figuralmente il passo montano, a ricordarci che la Trinacria è nel suo più riposto cuore terra montuosa, di valli e rocce, spesso remote e sconosciute rispetto alla popolarità cristallina, trasparente delle sue acque. Il cuore nodoso della Sicilia i thy Majestie lo attraversano da anni, fra rivoluzioni all’interno della formazione che porterebbero altri gruppi allo scioglimento e altre asperità, molte altre, connesse all’esser tutti noi, non solo loro, parte di una patria poco attenta, ancor prima di più cupi tempi, alla proposta artistica di questa nostra musica. Torna la Scarlet, nel 2012, ad affiancar la fiamma dei cinque capitani di Trinacria e ancora una volta la loro musica esce forgiata in album. Ancora una volta una nuova formazione che prende forma come ferro battuto con forza e sapienza, attorno all’elsa dei due storici Diprima e D’alessandro. Centrale, lungo il filo temporale di questa spada, Simone Campione. Arrivano a nuova forgia Alessio Taormina, voce, le su timbriche subentrano a quelle di Dario Cascio, che col suo canto guidò il precedente “Dawn” fino in terra d’Olanda; e Giuseppe Carruba, a intrecciar dita sulla scacchiera d’avorio. Nuovi di forgia ma su un album maturo, ShiHuangDi, il Primo Imperatore della dinastia Qin, unificatore della Cina; il figlio del Cielo la cui egida permane nel tempo nell’imperativo marziale della terracotta dopo il cedimento della carne.

Ed è così che torniamo all’epica, lungo una verticale del tempo e dello spazio che in un decennio di musica ha portato i Thy Majestie, e noi altri con loro, dalla piana di Hastings alle terre del Catai, passando per le fortezze francesi, la croce, la spada e la Passione di Giovanna d’Arco.

Zhongguo è l’aspettativa, quella di un ritorno al tema Storico, che un disco di bellezza indipendente quale è nel tempo Hastings 1066, ha reso nobile prerogativa del gruppo siculo.

Zhongguo è l’introduzione al disco, promessa marziale di un’epica rinnovata negli intenti e nel desiderio di vedere con la musica a ritroso nel tempo. Un coro accompagna il crescendo in creatività sinfonica, lo sbalzo glorioso delle chitarre e ultimo, delle tastiere, come uno svolazzo di pennacchi, come di tutti gli eserciti l’avanzata. Ed è il primo brano, Sette Regni, Seven Reigns, l’immensità del Catai che la voce di Taormina subito ricopre, i suoi polmoni un mantice inesausto fino alla fine.

Una domanda ha accompagnato un mese di intensi ascolti: cosa vuoi dal power, cosa ti aspetti tu che quasi non lo ascolti più. Risponde un coro: non è questo che volevate?

Un ritorno al tema storico, il risveglio dell’epica. Volevate nuovamente la polvere e il dramma; la visione attraverso il tempo. La rievocazione.

Noi non siamo qui a caccia di un’epica nei suoi stereotipi sempre meno credibili e stancamente riproposti.

I Thy Majestie tornano con rinnovati intenti e questo significa gettare uno sguardo drammatico oltre il presente, edificare la grande muraglia dei cori, ancora una volta, affinchè la voce del cantato possa dialogare con se stessa e reggere la scena fragile e suggestiva del passato. ShiHuangDi è un disco voluto. Voluto in modo inconscio, non costruito. Un missaggio che favorisce drumming e chitarre senza togliere leggerezza e profondità alle atmosfere di tastiera ed alla delicatezza, irrinunciabile, di alcuni inserti corali per unica voce femminile -che non rivelerò affinchè possiate incontrarli imprevedibilmente nella selva dei solos-, questo ricorda Hastings e il tocco compositivo del miglior Bondì (ex tastierista e membro fondatore insieme al “catafratto” Diprima). Ricondursi a paragoni e ricordi sarebbe però limitante, per quanto affettivamente comprensibile ed anche ingeneroso nei confronti di chi sono i Thy Majestie del 2012. La bellezza di questa Storia che vengono a raccontarci in musica sta nell’affiatamente strumentale di tastiere e chitarre: Carruba e Campione hanno idee e passione. Il disco è fitto di questi loro intrecci narrativi. Taormina alla voce è un polmone generoso e nella sua resa corale visionario, ispirato. Claudio alla batteria è il veterano irrinunciabile, il drumming potente e di muscolo, “catafratto” appunto, completato dall’intelligenza puntuale del basso di Dario, altro veterano il cui tocco di corda il missaggio restituisce mentre altrove annega nel sacrificio, sul campo, a vantaggio di un insieme sonoro compatto ma mai piatto e disattento al dettaglio.

Quest’album esalta e diverte. Non voglio arrampicare con parole più complesse. Esalta e diverte. Lo fa in modo semplice. Semplice come può essere un’idea quando miracolosamente (ed è così in ogni tipo di processo creativo), infiamma le corde, le dita, le bacchette, i tasti d’avorio, le corde vocali. Piomba come una meteora e trascina la composizione. Ecco di cosa vive ShiHuangDi dal primo all’ultimo minuto. Lascio ad altri la composizione di inni all’originalità o alla prevedibilità di questa musica.

L’ascolto, in ogni condizione temporale, dalle cateratte serali senza ombrello fino al limpido mattino di via dei Fori Imperiali mantiene integro l’impulso energico di brani che pulsano e portano a vedere e a vedersi, percepirsi con energia.

Una chicca. Affianca la prova dei cinque capitani di Trinacria la voce di Fabio Lione. End of the Days. Canzone le cui linee vocali presentano un Lione pennellato dalle timbriche usate fra i passaggi meno acuti di “9 degrees west of the moon”. Cosa avrà convinto Lione di questo brano? L’idea, la risposta, una delle possibili è che End of the Days è canzone scritta per il Lione di oggi. In scacco alla prevedibilità i Thy Majestie propongono a Lione una canzone in accordo con le sue esigenze vocali. Non gli si richiede la “maniera”, di cantare “come Fabio Lione”, ossia di cantare come tradizionalmente ha fatto per anni nel power noto e primordiale dei Rhapsody; ecco allora che questo rende interessante il brano e convincente la prova di Lione.

E poi un brano su tutti. Farewell. Perchè sia uno e uno solo a non inficiare il piacere della scoperta e perché mostra onestamente le diverse qualità del disco.

La prova di Katy Decker ed Emanuela Sala, splendide e calde, remote direi, voci femminili nell’introduzione; il gusto per una creatività compositiva di tipo “cinematografico” e visuale che prelude all’attacco vocale di Taormina; le linee vocali del cantato di quest’ultimo che son prova di quanto la monotonia non regni in questa rievocazione della più alta Storia del Catai. La generosità del contributo delle chitarre e delle tastiere, lanciate a briglia sciolta, senza morso, come le cavalcature dei nomadi dell’Est che la futura cavalleria cinese si troverà ad affrontare.

E poi il dono della “Misura”, che è veramente tutto nell’economia di un disco che definisco con forza “generoso”. Misura intesa come capacità di far silenzio a seguito -o a preludio- del più tradizionale e lanciato momento musicale caro alla tradizione del power per dar tempo ad un’Epoca di respirare e prender corpo e personalità. Ecco dove più lontano arriva la generosità di questi cinque capitani.

ShiHuangDi entusiasma forse chi scrive anche per un’altra ragione. Thy Majestie riescono dopo oltre dieci anni, lì dove hanno fallito i Grave Digger non tanto col loro recente disco quanto con la rievocazione stanca e deludente dell’indimenticato Tunes of War. Entrambi i gruppi tornano alla Storia: Boldhental e compari ricalcano un’idea divenuta più grande della loro propria attualità; Thy Majestie “riaffiancano” un’idea e restano in parallelo, senza lasciarsi imbrigliare, aperti alla novità di nuove soluzioni; non a caso fra le poche righe esplicative del booklet, una stringa nota significativamente: “Songwriting and arrangements have been taken care by the whole band”. Nel confronto si conclude che son state forse proprio le difficoltà e le incertezze di sempre a guidare con successo i thy Majestie sul noto e amato sentiero della tematica storica laddove la sola popolarità, e la certezza di una produzione “bombastica” dall’esito promozionale certo come quella garantita dalla Nuclear Blast, non sopperiranno mai alla mancanza di idee e ad una stanchezza di fondo

L’artwork, infine, nel suo proporre una soluzione visiva completamente diversa e creativamente di rottura, amplia il bacino di questa apertura. Un porto sicuro, questo disco, la cui sicurezza è un pretesto ancor più forte per salpare ancora. Verso quale Nuova vie della Seta, nonostante la similarità nel nome, non è dato a me saperlo.

Marco Migliorelli

Tracklist:
01. Zhongguo (instr.)
02. Seven Reigns
03. Harbinger Of A New Dawn
04. Siblings Of Tian
05. Walls Of Emperor
06. Under The Same Sky
07. Farewell
08. Huanghun (instr.)
09. Ephemeral
10. End Of The Days
11. Requiem

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