Recensione: Shiver To Hell

Di Mauro Gelsomini - 14 Febbraio 2003 - 0:00
Shiver To Hell
Band: Holy Gates
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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55

La band è attiva dal 1998, e giunge  al secondo demo CD dopo una prima release prodotta successivamente ad una vittoria di un contest musicale. Abbandonato il cantato in italiano per cui erano stati apprezzati da buona parte della critica, e molte delle influenze folk-celtiche, si dedicano con questo “Shiver To Hell” al power metal più classico. Essendo un autoprodotto, non aspettatevi le produzioni cristalline dei mostri sacri del genere, anzi preparatevi ad un sound decisamente secco, che non nasconde piccole sbavature esecutive. In modo particolare suona un po’ troppo finta la batteria di Mirco Petocchi (quanti vi hanno chiesto se usate una drum machine, ragazzi?), a volte addirittura slegata dal resto degli strumenti per quanto concerne corpo e presenza. Buono invece il cantato di Luca Franceschini, abbastanza personale, apprezzabile per la teatralità dell’impostazione soprattutto in “Screaming in The Silence”, dove potrebbe ricordare (con le dovute proporzioni) Geoff Tate. Non graffia a dovere invece la chitarra di Alessio Mognoni e il feeling viene affidato tutto alla voce di Luca, insieme alle tastiere di Emilio Gregori, troppo sole soprattutto in “Road To Remember”, dove gli strumenti potrebbero creare atmosfere da mille e una notte, mentre la tensione resta alquanto sopita. Forse il difetto più oneroso che gli Holy Gates dovranno sopportare è la mancanza di originalità, per cui è emblematica “Last Crusader”: dopo un’intro che oserei definire indecente, la classica strofa stoppata e il bridge arioso sfociano nella sequenza di accordi più abusati del metal del refrain. Salverei a questo punto il contrappunto a metà pezzo, ma nulla piu’.
Per concludere, la proposta degli Holy Gates va rivista e personalizzata: se si può soprassedere a lacune in fase d’arrangiamento e di sonorità, dipendenti dal budget di un’autoproduzione, non sono riuscito a storcere il naso dinnanzi a delle canzoni che risultano si’ orecchiabili, ma compositivamente ancora acerbe, e troppo legate ai cliche di un genere che, diciamoci la verità, è diventato il più difficile da suonare.

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