Recensione: Show Me How To Live

Di Alberto Biffi - 12 Dicembre 2011 - 0:00
Show Me How To Live
Band: Royal Hunt
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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88

Ammettiamolo, noi metallari riceviamo un imprinting fortissimo nei primi mesi (anni?) della nostra (ri)nascita come rockers.
Il cugino, l’amico, il fratello maggiore o il compagno di classe, quella persona che ci ha passato per la prima volta il CD, la chiavetta USB o nel caso di noi vecchietti, la mitica “cassettina” con i brani preferiti (che ora in modo molto più cool viene chiamata playlist) determinerà in modo definitivo alcuni dei nostri gusti ed orientamenti musicali.
Riporteremo pedissequamente negli anni a venire molti dei pensieri del nostro mentore, confermando la forza e al contempo la debolezza di noi metal-head: la fedeltà e la cecità.
Il miglior disco dei Metallica è “Master Of Puppets” e tutto potranno fare, sempre e comunque seguiti ed osannati, ma mai potranno battere il sopra-citato capolavoro. Il chitarrista più veloce è Yngwie, ma (come abbiamo letto e ci è stato detto da più parti) “suona sempre la stessa scala” (ma non chiedete ai “non musicisti” quale sia! Basta sapere che è sempre la stessa!).

Il miglior cantante che abbia militato nei Royal Hunt?
Rimandiamo la risposta alla fine della recensione.

Nati nel 1991 per mano del virtuoso tastierista di origini russe Andrè Andersen, il gruppo danese pubblicò i primi due lavori (“Land Of Broken Hearts” e “Clown In the Mirror”) con Henrik Brockmann alla voce ma fu solo con l’avvicendamento dietro al microfono in favore del singer statunitense D.C. Cooper che il combo progressive-metal (con fortissime influenze neo-classiche) riuscì a ritagliarsi il suo spazio (sopratutto nel paese del Sol Levante) grazie a due indiscussi capolavori come “Moving Target” e “Paradox”, pubblicati rispettivamente nel 1995 e nel 1997.
L’ugola americana, lasciò il gruppo nel 1999, sostituito dall’ottimo John West, proveniente dagli Artension e dotato di una voce eccezionale; abbandonò la nave danese nel 2006.

L’annuncio del nuovo cantante illuminò di speranza i molti fan che vedevano in Mark Boals uno dei cantanti (storici) maggiormente quotati in ambito neoclassico (basti citare Malmsteen ed i Ring Of Fire) ma…c’è un sempre ma…
Non è comunque D.C. Cooper!
Dopo due dischi oggettivamente discreti come “Collision Course” ed “X”, le molteplici richieste dei fan,dei promoter e della stessa casa discografica, spingono la band a richiamare il biondo cantante americano (ah! Il potere dei soldi!).

Giunge finalmente a noi, sul finire di questo 2011 l’attesissimo “Show Me How To Live” e come se ne avessimo bisogno, conferma uno dei luoghi comuni del metal: ritorna il cantante “storico” ed il disco è (alla faccia di noi scribacchini digital-musicali) un capolavoro.
Sono sette i brani che compongono questo come-back e non vi è un solo filler, non un riempitivo, mai una caduta di stile, al punto che se mentalmente visualizzassimo un grafico sulla qualità delle canzoni, non vedremmo nulla se non una rassicurante linea retta.
Al pari di capolavori come “Painkiller”, non vi è una nota in più e neppure una in meno, c’è tutto e solo il necessario per rendere questo disco una pietra miliare nella discografia del combo Danese che torna prepotentemente sotto le luci della ribalta.

“One More Day”, apre la battaglia (è proprio il caso di dirlo) con suoni che evocano uno scontro tra cavalieri, una tastiera inquietante e pomposa ed un coro che esalta una epicità davvero palpabile, sino ad arrivare al riff che si placa con l’intervento di un D.C. Cooper ispirato ed efficace che torna ad inserire la quarta con il ritornello, splendido ed ancora sostenuto da quei cori che resero famosi i Royal Hunt sin dagli albori della loro carriera.
“Another Man Down”, presenta una struttura perfetta ed un arrangiamento sopra le righe, con il  dotato singer che si esprime decisamente su livelli stellari: il sentirlo salire di tonalità (in modo invero non originale, ma chissenefrega!) nell’ultimo chorus del brano è una vera goduria.
Il cantante americano apre “An Empty Shell” esplorando il suo range basso, cosa che risulta ancor più impressionante alla luce degli acuti che da qui a pochi secondi sprigionerà dalla sua ugola.
Brano assolutamente di alta qualità, che ha il pregio (o il difetto?) di scorrere via velocemente, lasciandoci quel retrogusto di “buono” e il forte desiderio di premere ripetutamente il tasto play.
La quarta traccia, intitolata “Hard Rain’s Coming” è il classico pezzo maledetto, che in ogni disco ci auspichiamo di trovare per poi pentirci di avere mai ascoltato, tanto e tale sarà l’impatto che avrà nei giorni a seguire.
La canzone si tatua letteralmente nella nostra mente, con un ritornello incisivo e supportato dagli onnipresenti cori, al punto che quando litigheremo con il capo, quando chiuderemo gli occhi per un breve sonno ristoratore o quando la moglie/fidanzata ci parlerà di trucchi e rossetti, il chorus “maledetto” accorerà in nostro soccorso, permettendoci di rifugiarci nella musica.

Jonas Larsen (chitarra) sugli scudi per “Half Past Loneliness”, traccia in cui dimostra di essere un fiero compagno d’armi per Andersen, ma anche un ottimo solista, in un genere musicale dove è particolarmente facile perdere di vista il sentimento e l’interpretazione in favore della pura esecuzione tecnica e mera dimostrazione di velocità.
Nella title-track, il maestro Andersen opera una magia, facendo scorrere gli oltre dieci minuti del brano con una fluidità che non può non essere sintomatica sulla perfezione di questa vera opera d’arte.
Pathos epico che trasuda da ogni solco digitale, una sezione ritmica rocciosa e talentata, il “solito” Larsen fautore di assolo assolutamente tecnici ma al contempo cantabili e godibilissimi ed un immancabile ritornello devastante nella sua bellezza – in un alternanza di emozioni e crescendo – fanno di questo brano un vero ed indiscutibile capolavoro, con un D.C. Cooper che ci riempie di brividi chiudendo la traccia con la sua voce utilizzata nella sua tonalità più calda, bassa ed emozionale.

A concludere questo disco già perfetto ci pensa “Angel’s Gone”, ultima traccia che non aggiunge nulla  a questa attesissima uscita, ma utile per stemperare quel clima davvero pazzesco evocato dalla canzone precedente, in un contrasto ideale tra la l’epica e pomposa title-track e la velocità ed immediatezza del brano posto appunto in chiusura (la classica doccia gelata dopo la sauna?).

Concludendo, spero abbiate capito che per tutti gli amanti dei Royal Hunt (e non solo!) questo disco è assolutamente impedibile: grandi canzoni, melodie eccezionali ed (ovviamente) esecuzioni strumentali strappa-applausi.

Si diceva che spesso noi metallari ragioniamo su luoghi comuni, stigmatizzando la figura di un particolare musicista solo per il fatto di essere presente nel periodo d’oro della band nella quale militava, beh…dopo aver ascolato questo “Show Me How To Live”, proviamo a riporci quella famosa domanda.
Il miglior cantante che abbia militato nei Royal Hunt?
Ma è D.C. Cooper! Ovvio!

Discutine sul forum nel topic dedicato ai Royal Hunt!

Tracklist:

01.    One More Day
02.    Another Man Down
03.    An Empty Shell
04.    Hard Rain’s Coming
05.    Half Past Loneliness
06.    Show Me How To Live
07.    Angel’s Gone

Line Up:

André Andersen – Tastiere
D.C. Cooper – Voce
Allan Sørensen – Batteria
Andreas Passmark – Basso
Jonas Larsen – Chitarre

 

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