Recensione: ShowDown

Di Carlo Passa - 29 Dicembre 2017 - 9:00
ShowDown
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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70

Giungono al terzo album i King’s Call, band di base in Germania ma d’impronta decisamente cosmopolita, date le origini greche del chitarrista e mastermind Alex Garoufalidis e quelle azere del batterista Asec Bergemann. A completare la formazione al basso è niente meno che il britannico Chris Tsangarides, certamente più noto come produttore che come musicista e non a caso qui al lavoro anche dietro alla consolle del mixer.
La band è arricchita da due ospiti d’eccezione: Tony Carey, celeberrimo per la sua presenza su Rising dei Rainbow, e il cantante Michael Bormann, una sorta di giramondo delle band, che vanta esperienze con Jaded Heart, Bonfire, Bloodbound, Silent Force e via dicendo.
Il genere proposto dalla band è un AOR venato da sfumature hard rock piuttosto reminescenti di Whitesnake e Thin Lizzy, questi ultimi non a caso evocati anche dal nome stesso del gruppo, che riprende il titolo di una canzone inclusa in Solo in Soho, album solista di Phil Lynott del 1980.
La produzione è essenziale ma appropriata alla band, che non vuole stupire con vane pomposità ma bada a un sodo fatto di groove, arrangiamenti semplici ed efficaci e, soprattutto, una qualità di scrittura che rimane su un livello medio-alto lungo l’intera durata di ShowDown.
Il disco scorre piacevole alle orecchie dell’amante del genere, soprattutto in virtù della sincerità complessiva che scaturisce dai solchi. Who am I è un buon compendio di ShowDown, forte di un bel ritornello e di un’atmosfera che ricorda gli Stage Dolls, mentre la successiva Looking in the mirror è più dura e pare uscita dalla penna del Gene Simmons dei primi anni ottanta.
Garoufalidis imperversa in tutti i pezzi, con assoli a tratti confusi e non sempre opportuni, ma generalmente apprezzabili. Dal canto suo, Bormann gioca a fare il David Coverdale (si veda Get out) dimostrando una discreta personalità.
Meritevoli di citazione sono la zeppeliniana Principles of love e soprattutto il singolo S.O.S., vero picco dell’album e classico pezzo hard-AOR che non potrà non venire apprezzatto dagli appassionati più conservatori. La presenza di Tony Carey, invece, si fa sentire tutta nell’altro singolo Cry on the wind, fortemente debitore dei Rainbow: la canzone è molto bella, anche se nel complesso risulta piuttosto fuori contesto.
In sostanza, ShowDown è un buon disco. Certamente non inventa niente, ma è ben suonato, sapientemente scritto e capace di lasciare un piacevole ricordo di sè all’ascoltatore. Speriamo di avere l’opportunità d’incrociare i King’s Call dal vivo, in quanto le premesse di uno show coinvolgente ci sono tutte.

 

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