Recensione: Signs of Wings

Di Carlo Passa - 13 Settembre 2019 - 5:58
Signs of Wings
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2019
Nazione:
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83

Sascha Paeth non ha certo bisogno di presentazioni. Chitarrista degli indimenticabili Heavens Gate tra la fine degli anni ottanta e i novanta, ha fatto la fortuna propria e di molti altri producendo un gran pacchetto di album che campeggiano fieri sugli scaffali di tutti noi: Angra, Kamelot, Rhapsody, Edguy e Avantasia si sono, tra i tanti, avvalsi del tocco di Paeth, che nei decenni si è dunque ritagliato un ruolo di primissimo piano nel contesto heavy power.
Quasi stranisce constatare come sia dai tempi degli Heavens Gate che il nostro non recita la parte del protagonista in un disco che sia, in effetti, suo. Pur perfettamente a proprio agio alla console di produzione e apparentemente destinato a nulla più che pur lodevoli collaborazioni estemporanee quale chitarrista sia in studio che live, Sascha Paeth avrà forse sentito la nostalgia di suonare in una band che fosse tale e di cui fosse davvero parte e non solo tangente d’occasione.
Ecco, quindi, i Masters of Ceremony, che nelle intenzioni del chitarrista tedesco non sono un evento episodico, ma una band destinata a durare. Attorno a sé, Paeth ha raccolto musicisti di tutto rispetto, mutuandoli per lo più dagli Avantasia, certo sostanziando di qualità ma forse anche indebolendo in stabilità una line-up altrimenti eccellente. Felix Bohnke alla batteria, André Neygenfind al basso e la cantante Adrienne Cowan (dei Seven Spires) da lì provengono, seppur quest’ultima solo nella fase live del carrozzone messo in piedi da Tobias Sammet.
Signs of Wings è ora tra le nostre mani e nelle nostre orecchie. Ed è un bel sussidio di power heavy, ricco di varietà e di grandi melodie, oltre che, ed era scontato, di una sapienza scritturale ed esecutiva indiscutibile e non così frequente di questi tempi. I più attempati tra voi lettori si chiederanno, con mal celata speranza, quanto degli Heavens Gate ci sia in Signs of Wings: ebbene, non poco. A tratti, si palesa nel disco lo stile di quella grande band che fu, ed è questo un pregio che dimostra più la personalità che non l’aridità compositiva di Paeth.
E Adrienne Cowan, che tanto bene ha fatto nel tour degli Avantasia? Adrienne è il vero asso nella manica scovato da Paeth, che certo ha rischiato, imbastardendo con una vocalist un genere dominato da un canone ben definito di voce maschile. La Cowan si rivela soprattutto versatile, pregio impagabile quando si ha a che fare con un tipo di heavy metal apparentemente tanto standardizzato da non stupire più l’ascoltatore.
E così non è in Signs of Wings. Lo si comprende subito ai primi secondi del singolo e brano di apertura The Time Has Come, che ha un riffing thrash su cui si staglia potente la voce della Cowan, capace d’impreziosire il brano con un grande alternarsi tra voce pulita e quasi growl. Il pezzo è una summa perfetta del perché ci piace l’heavy metal, assurgendo immediatamente a inno. E gli Heavens Gate fanno capolino nel bel ritornello.
Cambia il registro con Die Just a Little, un 6/8 cadenzato e di grande dinamismo, che scaturisce in un refrain vagamente Within Temptation. La successiva Radar gioca a fare la cavalcata intorno a una melodia che, questa volta davvero, richiama moltissimo l’attitudine degli Heavens Gate: power tedesco di altissima fattura aggiornato nei suoni più che nella scrittura.
Where Would It Be risente dell’esperienza di Sascha Paeth negli Avantasia, anche in virtù di una grande partitura di Felix Bohnke: il brano gioca intorno a una linea semplice e scorre facile e leggero, ma ha il pregio di non scadere con gli ascolti, anzi risultando sempre piacevole, pur con lo spettro di Sammet a osservarci alle spalle.
Più personale è certamente My Anarchy, un pezzo heavy quasi teatrale in cui la Cowan è il vero valore aggiunto. Se Wide Awake è forse il brano più debole del lotto, più per merito della concorrenza che per demeriti propri, The Path scarta nettamente: ballad di grandissima fattura, The Path non concede nulla alla scontatezza, giocando intorno a una melodia originale e, in una parola, splendida. Adrienne Cowan, poi, ci mette del suo, regalando una prestazione certo sentita, ma mai patetica. L’innesto del violoncello è finalmente a proprio agio, facendoci dimenticare tanti consimili e falliti tentativi.
A far da contraltare alla dolce The Path è la violenta Sick, che assomma tutti i decenni trascorsi da Sascha a schitarrare e produrre heavy metal. La Cowan si presta a un growling efficace allo scopo, senza scadere nel parossismo, in virtù soprattutto di un inserto melodico tra le due parti, in vero aggressive, del ritornello. Insomma, buon power heavy contemporaneo.
Ad ascoltare Weight of the World, invece, ci si aspetta che la voce sia quella di Sammet, o di uno dei suoi tanti e noti ospiti. Insomma, il pezzo oscilla tra gli Edguy e gli Avantasia, riuscendo tuttavia a imporre una certa propria personalità, soprattutto grazie alla presenza straniante della Cowan, che alla fine rende piacevole un pezzo altrimenti inutile.
E si torna dalle parti degli Heavens Gate con Bound in Vertigo, che ne richiama le linee melodiche anthemiche che tanto piacquero nel Paese del Sol Levante. Tutto sommato, piacevole, ma niente di più.
Di tutt’altro livello è Signs of Wings, che chiude il disco. Pezzo semplicissimo sostenuto da una melodia eccellente e avvincente, Signs of Wings convince proprio perché non inventa nulla, facendolo bene. La band lo suona alla grande e la musica travolge l’ascoltatore che si ritrova braccia al cielo a cantare il ritornello.
Speriamo di alzare davvero presto quelle braccia sotto un palco occupato dai Masters Of Ceremony, che non dovranno sottrarsi alla prova live, avendo tra le mani un pacchetto di canzoni di gran fattura. Signs of Wings si candida alla classifica dei migliori dischi del 2019 e dimostra ancora una volta come anche il genere più abusato dell’heavy metal sappia ancora riserbare eccellenti momenti. Certo, non tutti possono vantare la sapienza frutto dell’esperienza di un Sascha Paeth. Anche per questo, teniamocelo stretto questo monumento vivente dell’heavy metal. E chissà che prima o poi non potremo riascoltare una Livin’ in Hysteria affiancata a Signs of Wings.

 

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