Recensione: Silverthorn

Di - 19 Novembre 2012 - 0:00
Silverthorn
Band: Kamelot
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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68

A più di un anno dalla dipartita di Roy Khan, i Kamelot ritornano sulle scene con un nuovo lavoro ed un nuovo cantante, quel Tommy Karevik che tanto bene ha fatto nei Seventh Wonder e sulle cui spalle grava ora il peso di un arduo confronto con l’acclamatissimo ex singer.
Diciamolo subito: purtroppo, per quanto Karevik cerchi di imprimere la sua personalità soprattutto nei toni alti, il paragone nelle parti più profonde è un po’ impietoso. In tali frangenti più drammatici il nuovo arrivato pare perdersi, offrendo lo sgradevole effetto di “scimmiottare” troppo Khan e la sensazione che questi nuovi brani siano stati scritti in cerca di una più confortante continuità con il passato, piuttosto che nel tentativo di esplorare nuove strade.
Il sound proposto non si distacca dai lavori precedenti: alla vena sinfonico-operistica e ai classici passaggi power a cui ci hanno abituato nel corso degli anni, si affianca una maggiore presenza di elementi prog, portati forse dal nuovo acquisto, ed un ritorno in primo piano della chitarra di Youngblood, maggiormente presente nelle parti soliste e sempre seguito dalle atmosferiche tastiere di Oliver Palotai, con il quale ha strettamente collaborato per la stesura del nuovo materiale.

La storia proposta in questo nuovo concept, è quella di una giovane ragazza che muore tra le braccia dei suoi due fratelli gemelli, portando con sé nella tomba un terribile segreto che riguarda tutti e tre. Le canzoni di Silverthorn parlano di disperazione, sensi di colpa e ricerca della verità, a cui l’ascoltatore dovrà arrivare poco alla volta seguendo il percorso narrativo descritto dalle varie tracce.

L’album si apre con la sinfonica e drammatica intro “Manus Dei”, cui fa seguito la rabbia esplosiva di “Sacrimony (Angel Of Afterlife)”, singolo di presentazione dell’album e brano da cui è stato prodotto un notevole  e dispendioso video. Forte di un accattivante ritornello e della presenza di due voci femminili, Elize Ryd (Amaranthe)  e Alissa White – Gluz (The Agonist), il brano presenta evidenti richiami ai fasti di “Epica” e “Karma”, così come sarà poi anche per “Solitaire”. Karevik, si rivela artefice di una buona e intensa interpretazione, troppo incentrata però sulle linee vocali del suo predecessore: un’impressione che rimarrà una costante per tutto l’ascolto.

Qualcosa di diverso dal solito si può sentire in “Ashes To Ashes”, pezzo ove influenze sinfoniche ridotte al minimo, lasciano il passo ad un metal più diretto e dalle forti tinte oscure, le stesse che con raffinata eleganza si possono ritrovare in “Torn”.
La fin troppo melensa ballad elettrica “Song For Jolee”, lascia il posto ad uno dei momenti più belli dell’album, “Veritas”, episodio che attinge direttamente dal passato della band in tutto e per tutto, sciorinando un connubio unico tra melodia e phatos, in puro stile Kamelot.
“My Confession” e “Falling Like the Fahrenheit”, sono il tentativo di creare qualcosa di diverso rispetto a quanto realizzato fino ad ora, sviluppando di più le tematiche progressive che hanno accompagnato gli ultimi lavori, inframezzate però da una title track che in un album come “The Fourth Legacy” avrebbe di sicuro spopolato, ma che in questo caso – seppur dotata di un buon impatto sonoro – sembra fuori contesto e con ben poco da dire.
Con la suite “Prodigal Son”, divisa in tre parti, si chiude la parte cantata del disco: la conclusiva outro completamente strumentale – ricca di fluidi e continui cambi di tempo – si rivela decisamente priva di mordente musicale, facendola cadere  nel vuoto più assoluto.

Sebbene songwriting, e produzione siano curati in modo quasi maniacale, “Silverthorn” rimane un lavoro transitorio ed incerto, che guarda forse troppo al passato – prova ne sono i continui rimandi ai clichè espressivi che hanno fatto la forza dei Kamelot in tutti questi anni – ma dimostra allo stesso tempo la voglia della band di intraprendere percorsi esplorati, per ora, solo in minima parte.
Un Karevik più libero di esprimersi, ed uno Youngblood meno timoroso del cambiamento, avrebbero giovato di più a quello che poteva essere un punto di svolta nella loro ventennale carriera.

In attesa del prossimo lavoro non resta a questo punto che aspettarli dal vivo, per poter testare anche sul campo come suona questo “Silverthorn”

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Tracklist  :

01)    Manus Dei 02:12
02)    Sacrimony (Angel of Afterlife) 04:39
03)    Ashes To Ashes 03:58
04)    Torn 03:51
05)    Song For Jolee 04:33
06)    Veritas 04:34
07)    My Confession 04:33
08)    Silverthorn 04:51
09)    Falling Like The Fahrenheit 05:06
10)    Solitaire 04:56
11)    Prodigal Son 08:52
               part I – Funerale
               part II – Burden of Shame
               part III – The Journey
12)    Continuum 01:48

Line up:

Tommy Karevik – Vocals
Thomas Youngblood – Guitars
Sean Tibbetts – Bass
Oliver Palotai – Keyboards
Casey Grillo – Drums
 

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