Recensione: Sin After Sin

Di Mauro Gelsomini - 14 Luglio 2002 - 0:00
Sin After Sin
Band: Judas Priest
Etichetta:
Genere:
Anno: 1977
Nazione:
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70

Sebbene non considerato all’unanimità uno dei capolavori dei Judas Priest, “Sin After Sin” segnò un passo importante nella storia della band inglese, essendo il loro disco d’esordio con una major (la CBS), e quindi decretando di fatto il successo economico planetario di cui siamo a conoscenza.
Si tratta di un disco in cui è impossibile non trovare elementi che caratterizzeranno il sound dei Priest, quali energia, melodia e musicalità, ma che risulta in debito di originalità nei confronti del precedente, immenso, “Sad Wings Of Destiny”. Certo, il paragone non era facilmente sostenibile, ma l’album non è un cattivo album: non mancano infatti pezzi veramente azzeccati,
La produzione è affidata all’ex Deep Purple Roger Glover, e lascia un po’ a desiderare soprattutto in fatto di potenza del sound. L’impronta di Glover è notevolissima fin dall’inizio, con l’heavy rock purpleiano di “Sinner”, che si trasforma nella faccia più oscura dei Priest, con le sue stridule armonizzazioni vocali sul chorus, il drumming ricercato e il terrificante assolo centrale. Interessantissimo il furibondo climax corale sul finale.
La lezione dei Deep Purple è evidente anche nella struggente cover di Joan Baez “Diamonds And Rust”, straordinariamente memorabile quanto a melodicità, ma lascia ancora perplessi il lavoro sul sound, che alleggerisce troppo il lavoro ancora una volta impeccabile di Phillips alla batteria.
Più classicamente priestiana è la successiva “Starbreaker”, la cui carica viene affievolita da ridicoli claps sul secondo ritornello, mentre decisamente contestabile risulta la scelta di sfumare la straordinaria apertura vocale di Halford sul finale.
“Last Rose Of Summer” è una romantica ballad dai deliziosi echi country/blues, che ci mostra un Rob Halford nelle vesti di cantante pacato ed evocativo. Non ho apprezzato la scelta di iniziare a sfumare il pezzo a un minuto dalla fine…
Un coro vagamente gospel introduce “Let Us Prey”, veloce e dinamica, con Phillips ancora una volta in grande spolvero. La song è notevole anche per le armoninazzioni delle chitarre che personalizzeranno il sound della NWOBHM.
Si distingue “Call For The Priest/Raw Deal”, grandiosa vetrina Heavy Metal in Black Sabbath style e infarcita di elementi progressivi, mirabile per il guitar-solo che introduce l’evoluzione coristica sul ritornello per poi giungere allo stupendo cambio di tempo in continuità prima del melodicissimo e malinconico epilogo, allo stesso tempo prologo di “Here Come The Tears”, ballad sinistra con la voce di Halford che si produce in cupe linee high-pitched che portano all’oscura progressione finale, appoggiando via via allo straniente solo di chitarra cori malefici, quindi le potenti rullate di Phillips e infine le vocals ossessive di Halford.
Conclude l’album il pezzo più Judas Priest: “Dissident Aggressor”, hit dell’intera produzione della band, con i suoi brevi ma intensissimi 3 minuti di puro Heavy Metal.

Per terminare, è doveroso dire che il sound dei Judas Priest non risulta ancora maturo con questo “Sin After Sin”, e molta colpa è come già detto da attribuirsi alla produzione, troppo leggera e vecchia, ma lo stile dei Judas Priest è inconfondibile e già in questo lavoro primordiale sono evidenti i caratteri che influenzeranno la carriera di molte band, come il riffing mitragliato e il cantato altissimo di Halford, quindi non posso far altro che consigliarne l’ascolto sia ai fan dei Priest che ancora non hanno “Sin After Sin” nella loro bacheca, sia a qualsiasi sincero Metal fan.

Tracklist:

 1. Sinner
 2. Diamonds And Rust
 3. Starbreaker
 4. Last Rose Of Summer
 5. Let Us Prey/Call For The Priest
 6. Raw Deal
 7. Here Come The Tears
 8. Dissident Aggressor

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