Recensione: Sitra Ahra

Di Alessandro Calvi - 16 Settembre 2010 - 0:00
Sitra Ahra
Band: Therion
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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78

I Therion hanno più volte ribadito di essere una band in continua trasformazione ed evoluzione. L’hanno fatto cambiando, di album in album, la propria proposta musicale, dal death delle origini fino al sound sempre più corale e sinfonico degli ultimi dischi. L’hanno fatto, soprattutto, rinnovando ciclicamente la propria line-up in maniera integrale, con la sola eccezione del fondatore e mastermind Christofer Johnsson. L’ultima di queste ri-fondazioni è avvenuta poco dopo l’uscita di “The Gothic Kabbalah”, la risposta a cosa sia stata in grado di sfornare la nuova formazione dei Therion è affidata a questo “Sitra Ahra”.

In realtà con ogni probabilità buona parte di questo ultimo album è stata scritta addirittura prima di “Gothic Kabbalah”. Secondo lo stesso Johnsson, infatti, insieme a “Lemuria” e “Sirius B”, lui aveva scritto un terzo disco volto a completare una sorta di ideale trilogia. Poi, però, si lasciò prendere la mano e si mise a comporre “Gothic Kabbalah” (in cui comunque confluirono un paio di brani già scritti), facendo così slittare il terzo capitolo più in avanti.
Il tema portante del disco, da cui deriva anche il titolo, però, farebbe pensare a una diretta prosecuzione del discorso sulla cabala iniziato con il cd precedente. Sitra Ahra è, infatti, la denominazione che viene data al male in tutte le sue forme. La cabala non concepisce l’esistenza di Satana o del diavolo, dà, invece, delle spiegazioni (e queste cambiano leggermente a seconda dei vari studi e del periodo storico) sull’origine del male. Secondo una delle più accreditate fonti, cioè lo Zohar, il Sitra Ahra è emanazione stessa di Dio, come un calice pieno da cui trabocca ciò che vi è in eccesso. Per questo motivo è, sì, originato da Dio, ma cessa, in pratica, di essere parte integrante della creazione, diviene altro, da cui appunto il termine Sitra Ahra che significa “l’altra parte”. Esso non avrebbe comunque poteri in se stesso, ma solo in quanto risultato di una scelta da parte dell’uomo che, in seguito al libero arbitrio, è libero di compiere il bene o il male. Non è, quindi, una forza soprannaturale che si oppone a Dio, bensì una rappresentazione del conflitto morale che si agita nell’animo degli esseri umani.

Indipendentemente dall’età dei brani di “Sitra Ahra” ciò che emerge prepotentemente fin dal primo ascolto è la coralità e l’impianto estremamente sinfonico di tutto il lavoro. Le chitarre e gli elementi prettamente metal, che sugli ultimi dischi avevano un certo spessore, sembrano esser stati messi leggermente da parte al punto che pare di esser tornati nei pressi di “Vovin”, uno dei CD più acclamati della storia della band. Forse non è un caso che in quell’occasione si parlava quasi di un disco solista e lo stesso, in parte, è vero anche per quest’ultimo tassello se diamo per assodato che è stato scritto prevalentemente dal solo Johnsson (e questo indipendentemente dal fatto di essere o meno il terzo disco della trilogia di cui si parlava in precedenza) e i musicisti son arrivati solo a cose già fatte.
Di certo l’inserimento di un cantante ecclettico e versatile come Thomas Vikström non può che aver favorito quanto già era nelle intenzioni del mastermind dei Therion dando maggiore profondità ai brani.
Il tocco sinfonico e, soprattutto, corale di questo album emerge chiaramente in tutti i brani, forse, però, quello che lo mette maggiormente in luce è “Hellequin”. Una traccia che sembra richiamare alla memoria echi degli Haggard di “Eppur Si Muove” per songwriting e numero di voci utilizzate. Dove, invece, si notano maggiormente i richiami al recente passato del gruppo son le canzoni in cui le chitarre si fanno sentire un po’ di più o dove emerge un certo sound e un certo uso dei cori, è il caso, tra gli altri, di “Unguentum Sabbati” o “Din”.
Come si sarà ormai capito, e come tutti si aspettavano, anche questo “Sitra Ahra” non è certo un album facile e lo è ancora meno rispetto al precedente “Gothic Kabbalah”, che nella storia dei Therion spicca quasi come un cd easy-listening. Diversi passaggi son necessari nel lettore o sullo stereo perchè si possa comprendere appieno, e forse anche allora non sarà sufficiente, tutti i livelli e le stratificazioni, nonchè i particolari, di questa nuova splendida opera degli svedesi. Indubbiamente qualcuno potrebbe anche storcere il naso di fronte ai primi ascolti, a causa di una certa mancanza di orecchiabilità immediata. Poco a poco, però, questa sensazione viene soppiantata da una maggiore comprensione del songwriting, che rende l’ascolto ben più gratificante.

“Sitra Ahra”, dodicesimo album del gruppo svedese che risponde al nome di Therion, e parto, quasi solitario, di Christofer Johnsson, il mastermind che ha portato il gruppo ad essere ciò che è oggi. Al contempo anche primo disco di una nuova line-up che, visto il risultato, si spera ci accompagni ancora per molti anni. Un cd elaborato, corale, sinfonico, stratificato, estremamente vario sia tra le tracce che all’interno dello stesso brano. Un’uscita che necessita di svariati ascolti per essere completamente compresa e che conferma i Therion come uno dei gruppi più interessanti della scena metal mondiale, oltre che, nell’ultimo periodo, pressochè incapaci di sbagliare un colpo.

Tracklist:
01 Sitra Ahra
02 Kings of Edom
03 Unguentum Sabbati
04 Land of Canaan
05 Hellequin
06 2012
07 Cu Chulain
08 Kali Yoga III
09 The Shells Are Open
10 Din
11 After the Inquisition: Children of the Stone

Alex “Engash-Krul” Calvi

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