Recensione: Slaves For Life

Di Silvia Graziola - 1 Luglio 2008 - 0:00
Slaves For Life
Band: Amaseffer
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
86

Questo album racconta una storia, e lo fa così bene che tenere gli occhi aperti mentre il succedersi dei brani di Slaves For Life invaderà lo spazio intorno a chi lo ascolta sarà difficile. Amaseffer, così si chiama il gruppo che l’ha composto, è un trio proveniente da Israele, formato non molti anni fa dal batterista Erez Yohanan, spinto dal desiderio di trasformare in una trilogia musicale uno dei capitoli più importanti per la storia del popolo ebraico, l’Esodo.

Una volta trovati i due chitarristi del progetto nelle persone di Yuval Kramer e Hanan Avramovich e scelto come monicker Amaseffer, come la parola Israelita che significa “persone del libro sacro”, il neo formato gruppo inizia la ricerca di un cantante adatto a interpretare il materiale composto dai tre musicisti. Questa persona sembra inizialmente essere Andy Kuntz, noto frontman dei tedeschi Vanden Plas, il quale risponde positivamente sin da subito alla proposta di collaborare; senonché alcuni suoi problemi di reperibilità fanno tardare sempre di più la registrazione del nuovo album, fino ad annullare questa collaborazione. I nuovi provini per scegliere un cantante fanno cadere questa volta la scelta su Mats Levén (Krux, Therion, Yngwie Malmsteen, Abstrakt Algebra) che, in breve tempo, consegna alla band le tracce complete per il suo disco di esordio, Slaves For Life.

L’Esodo è una delle parti in cui è suddiviso il Pentateuco, l’insieme dei cinque libri (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio) presenti anche nell’Antico Testamento cristiano che formano la Torah, il testo sacro ebraico. Solitamente tripartito in base agli eventi raccontati al suo interno, l’Esodo racconta nella sua prima sezione il periodo dell’oppressione degli Ebrei in Egitto, la nascita di Mosè e la sua fuga nella città di Madian, gli ordini ricevuti da Dio, il ritorno in Egitto, le dieci piaghe e l’uscita dal paese; nella seconda sezione viene raccontato del viaggio lungo la costa del Mar Rosso e nel deserto del Sinai; nella terza l’incontro tra Dio e il popolo, il decalogo e il codice dell’Alleanza, l’adorazione del vitello d’oro e la costruzione del Tabernacolo.

Il primo disco della trilogia degli Amaseffer trasforma in musica proprio gli episodi di questa prima sezione e lascia intuire quali saranno gli argomenti degli album che lo seguiranno.

Descrivere la musica di questo gruppo israeliano è particolarmente difficile, in quanto si tratta di un modo di suonare e di comporre più unico che raro, attento ai dettagli e alle sfumature, che rivestono come la colonna sonora di un film gli eventi raccontati. Un paragone con i conterranei Orphaned Land può aiutare solo in minima parte a dare un’idea di come siano le atmosfere di questo album, ricche di inserti folcloristici vicini alla terra di origine del gruppo.

Slaves For Life ha la grande particolarità di essere un concept album che si sviluppa su tre piani: quello compositivo, quello dei testi veri e propri e quello dei suoni e delle ambientazioni che, complice l’attività parallela e l’esperienza del gruppo nel campo delle colonne sonore, a cui è dedicato un loro studio a Tel-Aviv, donano un’aura molto caratteristica ai singoli brani, aiutando a capire l’argomento della canzone anche a chi magari non conosce appieno la parte di testi cantata in lingua originale.

Le pagine di un vecchio libro vengono girate, qualcuno ne soffia via la polvere passando la mano sulla carta; una voce narrante, quella dello stesso Yohanan, recita una breve introduzione in ebraico, su un attacco di flauto e di chitarra classica. Inizia così Sorrow, il brano di apertura, quasi del tutto strumentale. Il rumore delle pagine si trasforma in un vento, poi nei suoni indistinti di strumenti contro la pietra. Un cavallo nitrisce, schiavi al lavoro. Qualcuno fuori campo impartisce degli ordini e, come la sigla introduttiva di un film, emergono le prime note di Slaves For Life, solenni e marziali, ricche di strumenti e di orchestrazioni su cui si aggancia la voce di Mats Levén, che conferma sin dalle prime battute di essere stato un’ottima scelta per dar vita a questo progetto. Le sue linee di cantato, ricche di pathos grazie al suo timbro caldo ma allo stesso tempo sottilmente graffiante, sono intrecciate con quelle orientali di Kobi Farhi, frontman degli Orphaned Land.

L’immagine iniziale è quella del periodo della schiavitù degli ebrei in Egitto, sotto il potere del faraone che, timoroso che il loro crescente numero possa portarli a sopraffare la sua gente e intimorito da un sogno premonitore su un nuovo messia che darà loro la libertà, dà ordine alle levatrici di uccidere tutti i nascituri di sesso maschile. Con un’azzeccata introduzione ad opera di un’orchestra sinfonica inizia Birth Of Deliverance, una canzone abbellita da numerosi cambi di atmosfera e di tempo, che affida tutta la sua forza espressiva all’impatto strumentale ed emotivo delle numerose orchestrazioni. Ed è in questo modo che si passa da parti delicate come la nascita di un nuovo messia, leggera e delicata, in altre ora cupe, ora rabbiose come quelle degli Zero Hour di The Tower Of Avarice, nel momento in cui le urla dei bambini in sottofondo lasciano intendere che si parli della messa in atto dell’ordine del faraone. Nella parte conclusiva del brano cala nuovamente il silenzio, appare il rumore delle acque che scorrono, una donna piange vicino a un fiume e con lei un bambino: Jochebed, abbandona il figlio tra le acque; su un arpeggio di chitarra e dalle linee vocali quasi cullanti di Yohanan, rassicuranti nel suo dare speranza; poco dopo la figlia del faraone trova quel bambino e lo battezza Mosè, salvato dalle acque.

Midian è forse uno dei brani più aggressivi che compongono Slaves For Life e, allo stesso tempo, uno dei più interessanti: il suo punto di forza è la sua marcata eterogeneità delle parti che lo compongono, una diversità così esasperante che il connubio appare ottimo. Si parte da linee orchestrali e flautate e si arriva a riff di chitarra taglienti e massicci, su cui si innestano le sfuriate in growl di un’ospite d’eccezione del disco, Angela Gossow, unite a parti di canto più strettamente folcloristiche.

Midian è il luogo in cui Mosè, allevato e cresciuto come un Egiziano, sfugge alla condanna a morte che gli spetta dopo aver sorpreso e ucciso una guardia egiziana maltrattare uno schiavo ebreo. Nei pressi di un pozzo egli incontra delle donne coinvolte in una disputa con altri pastori, che impediscono loro di abbeverare il bestiame che hanno in custodia; le aiuta e viene presentato al loro padre, il pastore del paese, che gli offre di abitare sotto il suo tetto e di prendere in moglie una delle sue figlie, Zipporah.

Zipporah è, appunto, anche il titolo del brano successivo, dove un soffice tappeto di percussioni e di strumenti a corda pizzicata si intrecciano tra loro, uniti a diverse linee di canto, maschili e femminili, in lingua ebraica e in inglese, cullanti e pungenti.

Con il crepitio di un fuoco, il rumore di alcuni passi incerti che si avvicinano e un sobbalzo di stupore inizia la sesta traccia dell’album, Burning Bush, caratterizzata da un’introduzione di arpeggi di tastiera e di chitarra dal suono spigoloso e inquietante, su cui si innesta prima una voce parlante che impersonifica la voce di Dio, poi la voce di di Levén. È proprio a quest’ultimo che è dovuto il merito della grande forza espressiva di questo brano, come di tutto il disco: messa in primo piano e accompagnata da numerose orchestrazioni, la sua voce dona forza e calore a questo mid-tempo, che con lo scorrere del tempo, la musica diventa sempre più ampia e dilatata.

Il cosiddetto episodio del “roveto ardente” racconta dell’apparizione del Signore al cospetto di Mosè nella forma di un cespuglio invaso da fiamme che però non bruciano, in cui gli ordina di andare dal faraone e di ottenere la liberazione del popolo Israelita. All’obiezione da parte dell’uomo salvato dalle acque sulla difficoltà di farsi credere, la voce del cespuglio gli ordina di gettare a terra il suo bastone che, trasformatosi in un serpente, darà la prova del mandato divino delle sue parole.

Wooden Staff è il brano successivo di Slaves For Life e parla proprio di quest’ultimo episodio e lo fa con una lunga strumentale molto particolare, misteriosa e psichedelica, dove l’aspetto formidabile della vicenda narrata è reso interamente dalla musica. L’introduzione del pezzo ha la forma di un vento che invade i sensi dell’ascoltatore, che porta in scena sensazioni contrastanti e diverse tra loro: ora un lungo assolo di chitarra di una certa melodia, ora voci che ronzano nella testa portate dall’etere, in ogni direzione, meticolosamente ossessionanti, ora un concitato insieme di percussioni, ora un secondo assolo di chitarra, sempre più misterioso ed energico che si conclude con un coro di voci a cappella con cui la canzone muore.

Mosè rientra in Egitto per compiere la sua missione e lo sfondo ha ancora una volta l’aspetto di una colonna sonora di un film con le note di Return To Egypt, in cui gli strumenti dal sapore orientale si mischiano ai suoni e alle voci di sottofondo; una volta fatto ritorno nella città, riemergono i rumori dei lavoratori presenti nella parte iniziale del disco. Di grande impatto è qui la voce di Farhi nella parte conclusiva della canzone, sola coma un punto su cui si focalizza lo sguardo.

La richiesta di liberazione viene respinta dal faraone che decide di punire il popolo ebreo con condizioni di lavoro sempre più dure; Mosè, nel mostrare la sua sfiducia a Dio per quanto successo, riceve la rassicurazione avrebbe risolto il tutto mostrando la sua forza attraverso di lui. È così che vengono mandate le famose dieci piaghe d’Egitto, una dopo ogni rifiuto della richiesta di partire, fino a che l’ultima, la “strage dei primogeniti” egiziani fa ottenere quanto richiesto.

Con Ten Plagues si conclude quindi la prima parte di questo concept album con una canzone particolarmente lunga e complessa nel suo ospitare al suo interno un gran numero di momenti musicale dall’animo nettamente diverso; particolarmente ben riuscite e coinvolgenti appaiono ancora una volta le linee vocali di Levén, di grande impatto e apprezzabili fin dal primo ascolto. Gli effetti sonori guidano i vari momenti di questa canzone, ricche di orchestrazioni e il suo testo snocciola a una a una le dieci piaghe: ora il popolo di Israele è libero.

Slaves For Life è un colossal trasformato in musica, con i suoi attori, i suoi effetti sonori, e le sue canzoni; non è un disco di musica progressive canonico e, dopo tutto, non si tratta nemmeno solo di questo. Si tratta di un lavoro curato nei minimi dettagli, ricercato ed elaborato nelle sue strutture senza tuttavia far rendere conto di questo l’ascoltatore.

È difficile spiegare a parole questo album: Slaves For Life non merita di essere classificato e catalogato, ma solamente di essere ascoltato, possibilmente ad occhi chiusi e in un posto tranquillo, tutto d’un fiato.

Silvia “VentoGrigio” Graziola

Tracklist:

01. Sorrow
02. Slaves for life
03. Birth of deliverance
04. Midian
05. Zipporah
06. Burning bush
07. The wooden staff
08. Return to egypt
09. Ten plagues
10. Land of the dead

Lineup:

Erez Yohanan: batteria e percussioni

Yuval Kramer: chitarre
Hanan Avramovich: chitarre

Mats Levén: voce
Angela Gossow: voce

Ultimi album di Amaseffer

Band: Amaseffer
Genere:
Anno: 2008
86