Recensione: Socialized Hate

Di Nicola Furlan - 30 Agosto 2006 - 0:00
Socialized Hate
Band: Atrophy
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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65

Primo full-length per il combo statunitense che nel 1988 fa emergere “Socialized Hate” (il secondo ed ultimo loro disco, “Violent By Nature”, uscirà due anni dopo) direttamente dall’esteso lago che alimenta le turbine delle produzioni del bay area engine. I cinque di Tucson non risparmiano molto in termini di denuncia sociale e, parallelamente a molti loro colleghi più o meno illustri, adottano soluzioni thrash metal immediate e senza fronzoli, puntellando il tutto di un’espressività musicale ben confezionata e prodotta con discreta perizia. Il settaggio dei suoni in studio rientra negli standard calssici del genere, e valorizza in molti frangenti il prodotto finale, conferendogli una pesantezza e una compattezza immediatamente riconducibili al tipico modus operandi del tempo.

Ispirati dalle stesse matrici dei fratellastri Sacred Reich e dei Forbidden sopra tutti, oltre che per certi significativi spunti anche dai Testament, gli Atrophy si aggiudicano senza ombra di dubbio un round nell’accanita lotta che ha relegato nell’oblio centinaia di abili musicisti, schiacciati dalla concorrenza e costretti ad assistere impotenti mentre il popolo thrash inneggiava al nome di band di ben altro calibro.
Il pacchetto che ne esce, corredato da un favoloso artwork, è un denso concentrato di esplosivo, pronto a deflagrare già dalle prime note. Il potenziale della tracklist non si esaurisce certo nelle prime intense battute di “Chemical Dependance” – a volerla dire tutta la song più curata e potente del platter, sebbene carente di personalità, in quanto poco distante dai più classici stilemi thrash anni 80. Il trend generale non infatti è costantemente legato a queste linee compositive, ma oscilla attorno ad un punto di equilibrio che calamita rielaborazioni di idee tratte da numerose uscite forgiate anni prima.
Il punto forte dell’album risiede nel fatto che ogni singola traccia ha una sua connotazione ben definita, anche se sistematicamente troppo debole per lasciare il segno. Inoltre ciò che vuole essere espresso esce dagli strumenti con grande naturalezza, senza traccia di rischiose sperimentazioni. Velocità, compattezza e attitudine all’attacco on stage rappresentano quindi gli strumenti cardine messi in gioco per colpire e deliziare l’ascoltatore: chi ama queste sonorità non ne rimarrà deluso. Qualcosa invece ci sarà da ridire circa l’ordinarietà del prodotto che – e qui sta il suo maggiore punto debole – fa davvero trasparire troppa poca personalità.

Questo punto è da mettere in chiaro: senza ombra di dubbio l’album non spiccava per originalità sulla linea dell’orizzonte thrash del tempo, che dava spettacolo su ben altre vette. Ma per coloro che masticano ed hanno masticato quel buon “american underground thrash” questo lavoro può rappresentare senza ombra di dubbio un ottimo corollario al bagaglio americano di fine 80’s.

– nik76 –

Tracklist:
01- Chemical Dependency
02- Killing Machine
03- Matter of Attitude
04- Preacher, Preacher
05- Beer Bong
06- Socialized Hate
07- Best Defense
08- Product of The Past
09- Rest in Pieces
10- Urban Decay

Line up:
Brian Zimmerman – Vocals
Rick Skowron – Guitars
James Gulotta – Bass Guitar
Chris Lykins – Guitars
Tim Kelly – Drums

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