Recensione: Sociopathic Construct

Di Daniele D'Adamo - 14 Maggio 2019 - 17:06
Sociopathic Construct
Band: Abnormality
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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78

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Brutal death metal.

Un genere durissimo, agguerrito all’inverosimile, quasi impossibile da digerire. Tutto è all’estremo: velocità di esecuzione, perizia tecnica, aggressività.

Gli statunitensi Abnormality, con il nuovo nonché terzo album in una carriera – iniziata nel 2005 – , “Sociopathic Constructs”, non si discostano dalle basilari coordinate stilistiche sopra citate.

Tant’è vero che il full-length rappresenta una micidiale bombardata nucleare sui denti. Schiaffoni a mani aperte in piena faccia. Bastonate sulla collottola. La potenza è a livelli di esagerazione totale, perfettamente incanalata in song intellegibili dalla ridetta bravura dei Nostri, in grado di restituire un sound assolutamente pulito, preciso, chirurgico. Certo, la Metal Blade Records deve aver messo in campo tutta la sua esperienza e il suo know-out in materia di metal estremo poiché, a dispetto di una furia totalmente devastante, ogni nota, ogni accordo, ogni passaggio, sono chiari e limpidi come l’acqua di sorgente.

Impressionante la prestazione vocale dell’esile Mallika Sundaramurthy che, con il suo pazzesco growling, rivela la sua natura muliebre solo e soltanto dalla lettura della formazione. Difficile trovare una donna che produca un growling così profondo, cattivo, stentoreo. Al confronto, la celebrata Alissa White-Gluz sembra un usignolo. Se proprio si vuol dare un’idea della formidabile prestazione vocale della Sundaramurthy occorre allora riferirsi, a mò di esempio, a Luciana Catananti dei nostrani Mechanical God Creation. L’opera di Mallika è di fondamentale importanza, poiché, bene o male, ciò che colpiscono per prime, in un ensemble, sono le linee vocali. Davvero di altissimo livello tecnico, qui.

Come da definizione enciclopedica, i due chitarristi Sam Kirsch e Jeremy Henry danno vita a un riffing senza inizio né fine, talmente sterminato. La complessità delle orditure degli accordi è elevatissima e dà adito alla formazione di un muro di suono invalicabile che, inoltre, schiaccia la gabbia toracica come una tonnellata di acciaio posata sul petto. Ovviamente spaventosa la sezione ritmica, formata dal bassista Josh Staples e dal batterista Jay Blaisdell. Responsabile, quest’ultima, dell’entrata del suono nei reami dell’allucinazione, spalancatesi innanzi alle orecchie grazie alle micidiali scariche dei blast-beats sparati alla velocità della luce da un drumming che non dà la minima tregua lungo tutta la durata del platter.

Quel che rende “Sociopathic Constructs” un’opera un po’ diversa dal solito… brutal death metal, sono le song. Non mere esercitazioni di artiglieria pesante bensì agglomerati di piombo fuso che, una volta raffreddati, assumono una forma ben precisa. È qui che il combo del Massachusetts fa la differenza. Incastrando uno nell’altro nove brani che, presi uno per uno, mostrano una vitalità propria, una riconoscibilità più che sufficiente a scacciare via quel pericolo incombente chiamato noia. Su tutte, basti citare la spettacolare ‘Transmogrification of the Echoborgs’, articolata mazzata sulla schiena che spinge il piede più che può sull’acceleratore della follia. Tuttavia, tutto è ordinato e resta al suo posto, nonostante la potenza dell’insieme sia terrificante. Sintomo, questo, di un buon livello del songwriting, capace di non uniformare bensì di dividere. È chiaro, tutti i pezzi obbediscono ai dettami derivanti dal marchio di fabbrica del quintetto di Marlborough ma, al contrario di quanto accade spesso, ciascuno di essi è dotato di una sua anima, di una sua personalità.

Non resta che consigliare “Sociopathic Construct” agli appassionati del genere ma non solo, anche a chi intende approcciare per le prime volte a una fattispecie musicale così tortuosa, multiforme, complicata.

Brutal death metal.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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