Recensione: Sol De Medianoche

Di Silvia Graziola - 18 Luglio 2007 - 0:00
Sol De Medianoche
Band: Amarok
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2007
Nazione:
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88

Raffinata, delicata, leggera. Sono questi solo alcuni aggettivi con cui può essere definita la musica degli Amarok, un gruppo proveniente dalla penisola iberica che propone un elegante e difficilmente definibile prog rock ricco di influenze.
Amarok, come la parola in lingua inuit per indicare il lupo, è il nome con cui nel 1990 è nato il progetto di Robert Santamarìa e di Lìdia Cerón; il primo, compositore e strumentista con in tasca una laurea in paleontologia; la seconda, cantante con alle spalle una solida preparazione musicale classica.
Dopo un primo debutto nel 1991 con la registrazione di Migracions, realizzato con il supporto di altri musicisti, il gruppo si dedica alla costruzione di un piccolo studio di registrazione in Catalonia. Tre anni dopo, nel 1994, viene registrato Els Nostres Petit Amigos, primo disco autorodotto della band che porta i primi successi e la prima vera formazione stabile, con Robert e Lìdia affiancati dal percussionista Manel Sesé, dal violinista Joan Morera, dal chitarrista Asy Guerrero e dall’oboista Kerstin Kokocinski.
Dopo l’uscita del secondo album ufficiale della band, Canciones De Los Mundo (1995) sotto l’etichetta Lyricon, il 1996 porta con sé un’ulteriore modifica del personale della band, con l’entrata nella formazione del chitarrista, bassista e compositore Victor Estrada, del flautista Manel Mayol e del violinista Robert Abella. Il terzo album, Gibra’ara, esce nel 1998, mentre sempre più numerose esibizioni dal vivo precedono l’uscita del quarto lavoro, Tierra De Especias (2000).
Tra il 2002 ed il 2004 il gruppo lavora al suo quinto e sesto album, Mujer Luna e Quentadharkën, che vedono la luce rispettivamente nel 2002 e nel 2004, intervallati da un tour. Eccoci dunque nel 2007, quando il settimo album della band è pronto, Sol De Medianoche.

Sol De Medianoche è un album più unico che raro per le sue caratteristiche e la sua ricercatezza nelle composizioni: ogni brano è ricco di dettagli, sfumature che emergono una dopo l’altra come una piacevole sorpresa, ascolto dopo ascolto. Il sestetto spagnolo è affiancato da un vero e proprio esercito di musicisti ospiti, ognuno del quali arricchisce l’opera musicale donando il suo personale tocco, rendendo ogni singola canzone speciale.
I testi, fatta eccezione per The Last Of The Last che è in Inglese, sono cantati in Spagnolo e in Catalano e parlano della Cabala, degli eremiti, del libro de Le Mille e Una Notte, del mito di Chulthu e della libertà.

L’apertura del disco è affidata alla delicata Sephiroth, una canzone dedicata appunto a Sephiroth, Sephirah o Sefiráh, uno dei modi con cui si può manifestare l’energia divina nella Cabala Ebraica, il sistema metafisico applicato alle Sacre Scritture che promette di dare un significato alle fasi della creazione del mondo e di mettere la vita umana in relazione con il Creatore. Sephiroth è il nome che indica le dieci entità che costituiscono l’albero della vita, ognuna delle quali mostra un livello ben determinato all’interno della divinità ed è collegata con le altre tramite 22 canali, uno per ognuna delle lettere dell’alfabeto ebraico. Sephiroth entra in scena con passo sinuoso, accompagnato da leggere percussioni e dalla delicata voce di Marta Segura che si mischia alle tastiere agli strumenti flautati, al delicato tocco di xilofono e di flauto traverso, i quali catapultano l’ascoltatore tra le dolci atmosfere di una terra lontana, gitana.
Hermits è una mini suite in cinque parti che ha come protagonista la figura libera dell’ eremita che vede la presenza come ospite del chitarrista Andrés Oleagui. Nella sua introduzione strumentale, Initiations, si incontrano i più svariati strumenti come saz turco, glockenspiel, flauto traverso, pianoforte, violino, immersi in un intreccio che fa loro condividere a turno il centro della scena, esibendosi in virtuosismi ed assoli. Partiture all’unisono spianano la strada alla voce che emerge dalla lontananza sulle note di un “tamburo” hang, cantando la melodia dal sapore esotico di Song Of The Ascet, accompagnata da una fisarmonica in sottofondo. È tempo dello strumentale flautato e sognante di Transit, dove il delicato arpeggio di saz si amalgama a meraviglia con violino, tastiere e persino uno scacciapensieri, per finire poi nell’ atmosfera giocosa ed allegra di The Last Of The Last, unico brano dell’album cantato in Inglese.
La suite sugli eremiti non può che concludersi con John Roudeau’s Jig, un brano dedicato a John Noah Rondeau, un famoso eremita vissuto a cavallo del secolo scorso nella zona dei monti americani Adirondack, nello stato di New York. Rondeau scelse, all’età di 46 anni di ritirarsi in solitudine in un’area remota, scrivendo diverse memorie nel corso degli anni, molte delle quali composte usando un codice di cifratura di sua invenzione, che venne decifrato solo nel 1992.
Gli strumenti a corda pizzicata sono protagonisti di Xiongmao I (the cat-bear), un breve tuffo dentro un’atmosfera orientale, prima che un leggero tocco di pianoforte e delicate note flautate diano vita a Wendigo, brano strumentale dalla partitura sincopata e disconnessa, con molti momenti strumentali che strizzano l’occhio alle sonorità degli Emerson, Lake & Palmer, ricco di divagazioni sul tema principale sostenute da corno, tromba e piccolo di Pepe Andreu e dal canto tibetano di Moi Pèrez, entrambi ospiti.
Come rivela il titolo stesso, la canzone è dedicata al Wendigo, un formidabile spirito vendicativo tipico delle tribù indiane del Nord America che gli uomini possono evocare e in cui si possono trasformare per chiedere giustizia.
Duet For Hang And Bass è un breve duetto tra i due strumenti menzionati dal titolo: il “tamburo” hang, un curioso strumento melodico a percussione, suonato con le mani e il basso. Altrettanto breve è Mama Todorka, che pone tutta la sua forza in mano alle voci femminili impegnate a cantarne i testi in lingua bulgara, dove Marta Riba, Nori Sabatè e Marie Weckesser sono impegnate nei cori e nei controcanti, aiutate dal violino che qua e là emerge di Branislav Grbic.
Ishak The Fisherman è il secondo mini-concept incluso nell’album, diviso in cinque parti e ispirato alle storie narrate nel famoso libro Le Mille e Una Notte; il sapore orientaleggiante del concept è evidente sin dal suo incipit, The Rebel Genius, dove la voce di Segura si districa in un sentiero tra suoni di violino, dulcimero, kaz, flauto e tastiere che, nella loro fusione, rendono la melodia particolarmente gradevole e di immediato impatto.
Un arpeggio di autoharp porta la melodia sulla sognante Half Man Half Stone e poi The Great Secret, dove emergono i corni di Andreu, i Sassofoni di Mireia Sisquella e il controcanto femminile di Segura. El Gran Secret ha una struttura incentrata su pianoforte e tastiere che addolciscono la voce femminile nel migliore dei modi, mentre l’energico intervento del santur iraniano riporta l’impronta esotica nel brano strumentale che precede il cantato conclusivo di Ishak Returns Home.
Eights Touts è un brano strumentale dall’atmosfera giocosa che pare quasi uscito da un cartone animato quando gli strumenti giocano nell’imitare dei versi, i violini si rincorrono e la tromba di Andrelli sembra quasi uno strumento usato per gli effetti sonori. Le chitarre elettriche e gli strumenti elettronici che ricordano quasi le atmosfere degli Ayreon sperimentatori, si scambiano la scena, lasciando la fine della canzone allo stesso gracidio di rane con cui è cominciata.
E’ tempo della title-track Midnight Sun, il terzo mini-concept del disco, dedicato alle persone perseguitate per i propri ideali, e diviso in sei sotto canzoni: Colourless World, The Dance Of The Automatons, Far Away, The Great Deceit, Taiga e Middai Syade.
Midnight Sun vede protagonista della scena la voce di Segura, sostenuta dai cori di Riba e sorretta da strumenti a corda pizzicata e dai delicati tocchi di glockenspiel. Le atmosfere sono rese ancora più rilassate da delicati arpeggi e tappeti di tastiere, che si rivoltano in partiture energiche e ritmate come quelle di The Great Deceit, quasi hard rock nell’attitudine e nelle sue incusioni di hammond, unite in un modo quasi space rock a Taiga e alle sue vorticose partiture e le sue divagazioni strumentali, per poi riportare in scena la delicata voce di Marta con il pezzo conclusivo, Midday Shade.
Xiongmao II è un brevissimo retake del tema di Xiongmao I (The cat-bear), dove la melodia principale viene ripresa inserendo evidenti linee di strumenti a fiato, che portano con sé l’ultima traccia del disco, una cover di una canzone degli Emerson, Lake & Palmer inserita nell’album Trilogy (1972), Abaddon’s Bolero, suonato utilizzando percussioni, Santur iraniano, Xilofono, scacciapensieri, fisarmonica, clarinetto, violino, kazoo, flauto traverso….
Con questo brano gli Amarok si congedano nel modo migliore, facendo intervenire un numero impressionante di strumenti. Il gruppo gioca con la musica e con i suoni, amalgamando il tutto in un modo da togliere il fiato. Gli Amarok suonano una musica difficile ma lo fanno giocando, in modo leggero, quasi scherzoso, senza esibire la tecnica, ma dando spazio al cuore e alla melodia, cosa terribilmente rara, e tutto questo non può che affascinare.

Silvia “VentoGrigio” Graziola

Tracklist:

01- Sephiroth (4:17)
02- Hermits (10:46)
     a) Initiations
     b) Song Of The Ascet
     c) Transit
     d) The Last Of The Lasts
     e) John Roundeau’s Jig
03- Xiöngmao I (The Cat-Bear) (1:13)
04- Wendigo (7:11)
05- Duet For Hang And Bass (2:09)
06- Mama Todorka (2:02)
07- Ishak The Fisherman (12:04)
     a) The Rebel Genius
     b) Half Man Half Stone
     c) The Castle Of The One Hundreds Maidens
     d) The Great Secret
     e) Ishak Returns Home
08- Eight Touts (3:03)
09- Midnight Sun (13:34)
     a) Colourless World
     b) The Dance Of The Automations
     c) Far Away
     d) The Great Deceit
     e) Taiga
     f) Midday Shade
10- Xiöngmao II (0:41)
11- Abaddon’s Bolero (8:07)

Lineup:

Robert Santamaria: Tastiere, Fisarmonica, Chitarra 12 corde, Saz turco, Santur iraniano, Kanun, Dulcimero, Autoharp, Xilofono, Glockenspiel, Hang, Percussioni
Manel Mayol: Flauto, Voci, Percussioni, Didjeridoo
Mireia Sisquella: Sax soprano e alto, Tastiere
Marta Segura: Voci, Percussioni
Alán Chehab: Basso elettrico
Renato Di Prinzio: Batteria

Musicisti ospiti:

Pablo Tato: Chitarra elettrica (8,9)
Andres Oleagui: Chitarra elettrica (2, non 3 come menzionato nel libretto)
Victor Estradda: Chitarra spagnola (9), Theremin (4)
Branislav Grbic: Violino (3, 6, 7, 8, 11)
Pepe Andreu: Tromba (4,7-9), Flicorno (7,9,11), piccolo (11)
Marta Riba: Voci (1, 3, 4, 6, 7, 9, 11)
Nuri Sabate: Voci (6)
Marie Weckesser: Voci (6)
Moi Perez: Canto tibetano (4), Harmonica (1,7)
Luis Blanco: Vibraslap (7)

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