Recensione: Soulmade

Di Daniele D'Adamo - 30 Gennaio 2019 - 16:06
Soulmade
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2019
Nazione:
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72

Ancora una volta la Germania sforna una band dedita al metalcore melodico, confermando un’attitudine innata dei musicisti teutonici a trovarsi a loro agio con le taglienti ma armoniose sonorità della famiglia *-core

I Breathe Atlantis, nati a Essen nel 2012, con “Soulmade” raggiungono il traguardo del terzo full-length in carriera, da molti considerato, in termini prettamente numerici, un po’ come una sorta di esame per lasciare l’adolescenza musicale ed entrare così nel mondo dei grandi.

A voler spaccare il capello in quattro, più che di melodic metalcore i Nostri riassumono a sé le caratteristiche tipologiche del post-hardcore. Impegnandosi così, un po’ come accade in tutti i generi post-, a badare con particolare attenzione all’aspetto emotivo del suono. Già il moniker della band lascia intravedere isole sperdute nell’oceano, lontane dalla contaminazione della società umana; una visione accompagnata da un forte sentore di salsedine, dal calore del sole, dal languore dell’eterno moto delle onde che si frangono in lunghe spiagge sabbiose, dallo struggimento interno che si scatena al tramonto.

Sono sentimenti nostalgici, pregni di dolce malinconia che, nel caso del quartetto mitteleuropeo, si trovano con estrema facilità nelle splendide linee vocali del bravissimo Nico Schiesewitz, interprete che, in ogni song, mette il cuore nel restituire, con la sua voce, gli intensi scuotimenti dell’animo come più sopra descritti. Risultato ottenuto da un approccio diverso dal solito, scevro difatti da eccessi scream; preferendo al contrario un cantato pulito ma denso di melodiosa melanconia. Accompagnato – e questo non poteva essere altrimenti, data la tipologia musicale adottata – , spesso e volentieri da cori eleganti, pregni di sentimento, trasognanti. 

Certo, il metal è rarefatto, intendendolo nella sua accezione più classica, ma bisogna considerare che ai lati dell’ortodossia si muove un universo di ensemble che, comunque, in un modo o nell’altro, non hanno mai staccato il cordone ombelicale dal verbo. È evidente che un lavoro come “Soulmade” stizzi l’occhiolino al mercato mainstream ma quello che esce dal platter non è certo pop o musica comunque commerciale e basta. I Breathe Atlantis sono una band vera, abile e capace, professionale, in grado di incidere un disco dall’alto valore qualitativo. Sia come tecnica esecutiva, irreprensibile, ma anche come qualità del songwriting. Il depotenziamento tipico dei ridetti generi post– si fa sentire ma sarà difficile che una delle canzoni dell’album si trovi a girare nei supermercati come mero sottofondo musicale, privo di anima. 

Invece, è proprio un’anima forte e profonda che regge l’impianto sonoro del disco. Pur presentando brani decisamente accattivanti, non manca mai la presenza di un’aurea invisibile che imbeve di emozioni i brani stessi. Fra i quali ce ne sono alcuni di portata straordinaria, come l’opener-track ‘My Supernova’, dal ritmo vagamente sincopato, giusto per lasciare sospesa l’idea dei breakdown caratteristici del metalcore, e dal chorus memorabile, a più voci. Da mandare a memoria anche ‘Don’t Need You Now’, forse l’episodio più coinvolgente dal punto di vista del phatos, dotato di un refrain che s’insinua nel cervello per non uscirne mai più. Stupenda! Così com’è altrettanto stupenda ‘Spirit’, anch’essa baciata da Euterpe con particolare trasporto per un ritornello ugualmente indimenticabile. In ultimo, come non citare gli infiniti orizzonti che si aprono al suono di ‘Addiction to the Worst’?

Ecco che a questo punto, prendendo a una a una le tracce, emerge il limite di “Soulmade”: se esse fossero tutte quante allo stesso livello compositivo di quelle più su menzionate, ci si troverebbe di fronte a un capolavoro. Così non è. In mezzo a esse sono compressi pezzi meno esplosivi, si direbbe quasi anonimi. Il che rende il CD un po’ altalenante in riferimento alla qualità delle tracce medesime. 

Si tratta comunque di un’opera più che degna di menzione, “Soulmade”. Ovvio che non sia consigliabile agli amanti del brutal death metal, ma, scrollandosi di dosso i pregiudizi che derivano da un approccio totalmente intransigente al metal, può essere apprezzato da un pubblico sicuramente vasto e multicolore.

Daniele “dani66” D’Adamo

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72