Recensione: Sound Track To Your Escape

Di Alessandro Di Clemente - 30 Marzo 2004 - 0:00
Sound Track To Your Escape
Band: In Flames
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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90

Premessa
Il mio ruolo nella redazione di Truemetal.it è quantomeno variabile, incatalogabile, alle volte mi sento un tappabuchi.
Mi spiego, non sono un redattore thrash tout court, o death metal melodico, o un defender of the faith, più che altro mi ritengo un esperto di electro / death / jazz / core / grind / thrash / goth / industrial / e.b.m. / alternative metal. Insomma il mio compito nel portale è quello di recensire roba al limite del metal: quei cds che gli altri redattori si schifano solo di sentirne nominare il titolo (ovviamente è una battuta), d’altra parte mi taccio (e non è una parolaccia) di essere un notevole talent scout, nel mio piccolo, andando a ricercare gruppi ed albums ai più sconosciuti.
Insomma sono uno dei pochi veri non-metallari che si ascoltano metal.
Questa non è una polemica, ma una premessa ad una recensione difficile (poi spiegherò perchè difficile).
Da un paio d’anni si sta assistendo (scusate lo scioglilingua) ad una sorta di rigetto da parte di una frangia di “open mind” nei confronti della parola metallaro e conseguentemente del suo significato, cioè cosa vuol dire essere metallaro? Cosa vuol dire ascoltare metal nel 2000?
Ovviamente non è questa la sede adatta a discutere tale argomento (vi rimando, se volete, ad un post nel forum appropriato), ma, e qui tratto l’argomento: “difficoltà a recensire il nuovo In Flames”, è in stretta relazione con questa recensione: gli In Flames sono diventati un’ Entità superiore, incatalogabile, non più death metal, o meglio non solo, sono tutto: tutto ciò che la musica contemporanea ci ha portato (sia di buono che di cattivo) gli In Flames l’hanno fatto proprio e l’hanno rimodellato secondo il loro pensiero musicale e con la classe che li contraddistingue.
Negli In Flames trovano un punto d’incontro coerente i “mitici” At The Gates e Bjork, i Pain e i Dark Tranquillity e molto altro ancora.
Ho avuto, da quando sono entrato in contatto la prima volta con l’Essere In Flames (grazie al video di “Artifacts Of The Black Rain” e al conseguente acquisto di “The Jester Race”), una sorta di affinità elettiva con Jesper e soci: ho cambiato gusti musicali contemporaneamente alle uscite discografiche dei Nostri di Gothenburg, innamorandomi di volta in volta dei vari “Whoracle”, “Colony”, “Clayman”, “Reroute To Remain”. Ho volontariamente omesso “Lunar Strain” e “Subterranean” perchè pur essendo due capolavori di death metal scandinavo melodico li ho potuti apprezzare solo dopo qualche anno dalla loro uscita discografica.
Ho sempre avuto la pretesa di aver capito il perchè di certi cambiamenti, a volte radicali a volte meno, che hanno coinvolto il songwriting degli In Flames, e mentre “The Jester Race” è il naturale continuo di un discorso cominciato acerbamente con “Lunar Strain”, proseguito con “Subterranean”, “Whoracle” è la prima svolta reale a tutti i livelli, o quasi: suono, composizioni, atmosfere (n.d.r.: vorrei che andaste a dare una riascoltata a quella perla passata quasi inosservata intitolata “Worlds Within The Margin”, che, a livello mentale, di composizione, atmosfere è la canzone del vecchio percorso più vicina ai nuovi In Flames).
“Colony” aumenta ulteriormente il distacco dagli esordi, da una parte, dall’altra riprende certi riffs maideniani tipici di “The Jester Race” che erano stati accantonati nel precedente “Whoracle”.
Ritengo che per capire il percorso evolutivo che ha portato la band a scrivere un album controverso come “Soundtrack To Your Escape” bisogna studiare bene alcune composizioni di “Colony”.
Certo è facile dire che con “Colony” vi è la prima sperimentazione con le voci pulite (“Ordinary Story”), ma andrei anche ad analizzare la splendida “Zombie inc.”: incipit di Hammond, per poi proseguire con strofa, pre-ritornello, ritornello violenti e melodici nel contempo ed un intermezzo che parte pacato ma che secondo dopo secondo prepara la successiva esplosione…vi ricorda qualcosa di più recente? Io credo che gli albums targati In Flames che gli sono seguiti si rifacciano spudoratamente a questo tipo di forma canzone.

Recensione
Voglio essere sincero, quest’album è splendido.
Non si puo’ essere obiettivi di fronte ad un disco di tal fattura, formalmente ha tutte le caratteristiche per essere un ottimo album: produzione, capacità tecnica dei Nostri (per favore niente commenti puntigliosi sulla semplicità di certe trovate ritmiche ad opera del buon Daniel Svensson, fa il suo dovere, come qualsiasi batterista rock), originale, ecc…
Se qui c’è da discutere è solo a causa della svolta che hanno intrapreso i cinque svedesi, nulla di imprevisto poichè “Soundtrack To Your Escape” è il perfetto prosieguo di “Reroute To Remain”.
Tra i primi commenti che ho avuto il piacere di sentire, c’è stato qualcuno che si è lamentato della troppa somiglianza col precedente “Reroute To Remain”.
Invece credo che “Soundtrack To Your Escape” debba essere ascoltato più e più volte prima di essere compreso appieno, vi è una differenza sostanziale tra i due albums: mentre in “Reroute To Remain”, come in “Clayman”, l’uso delle tastiere era semplicemente un contorno rispetto al riffing portante delle chitarre, in quest’ album la coppia Stromblad/Gelotte lavora, più semplicemente, per alzare un muro di suono a sostegno delle melodie tessute dai synth. Ma non è un muro stile Nevermore (claustrofobico, senza respiro) piuttosto certi riffs mi hanno ricordato i Rammstein (il che, probabilmente, è dovuto in buona parte al suono delle sei corde).
Un altro paragone plausibile sono i Pain di Peter Tagtgren, stesso concetto semantico della forma canzone, ma laddove i Pain fallivano miseramente a causa di un songrwriting privo di mordente (in pratica “Shut Your Mouth” è l’unica meritevole di menzione, oltre alla beatlesiana “Eleanor Rigsby”), gli In Flames centrano l’obiettivo riuscendo a creare gioielli di musica alternativa.
La difficoltà nel recensire un’opera come questa sta nel fatto che non è death metal, non è heavy metal, non è nulla di tutto quello che avete sentito precedentemente…o più precisamente, come già accennato, è tutto quello che avete sentito filtrato attraverso le orecchie degli In Flames, come se ci stessero dicendo: “Ecco, a noi piacciono i vecchi In Flames, gli At The Gates (che qualcuno sostiene essere la band senza la quale Jesper e soci non sarebbero mai usciti fuori, dimenticando, però, i Ceremonial Oath), ma ci piace Bjork, l’elettronica svedese e quella tedesca, ci piace il synthpop, il rock alternativo, il metalcore, l’industrial e ci piacciono i nostri amici Soilwork, ci piace tutto questo e lo vogliamo reinterpretare, secondo il nostro gusto e la nostra classe musicali”.
Da questa considerazione si può partire ad analizzare la tracklist che compone “Soundtrack To Your Escape”.
Sono ben caratterizzati due volti degli In Flames in questo “S.T.Y.E.”: quello aggressivo, mai evidenziato in precedenza con tale veemenza, di canzoni come “F(r)iend”, “Dial 595 – Escape” o “Superhero Of The Computer Age” (notate come i Nostri riescono a creare un’atmosfera verosimilmente accostabile a quella di “Scissorfight” dei sottovalutati Gardenian in “Sindustries”) e quello più “commerciale”, che strizza l’occhio alle produzioni alternative odierne (Evanescence, Lacuna Coil, The Rasmus, Linkin Park, la ‘rivelazione 2004’ Farmer Boys, ecc…), ben rappresentato da probabili hits come “The Quiet Place” (scelta come singolo apripista), “My Sweet Shadow”, “Evil In A Closet” e “Borders And Shading”.
A fare da spartiacque vi sono composizioni come “Touch Of Red”, “Like You Better Dead”, “Dead Alone” e “In Search For I”, sulle quali non mi dilunghero’, poichè riprendono, da vicino, certe soluzioni adottate in “Reroute To Remain”, pur mantenendo alto lo standard qualitativo del song writing.
Vorrei spendere, invece, due parole su “F(r)iend”, una song atipica, industrial nel suo procedere dritta senza tentennamenti, con freddezza: un incrocio improbabile ma efficace tra i Rammstein più metal e i Godflesh meno grind e noise.
Probabilmente andrò in controtendenza rispetto a chi, avendo già criticato “Reroute To Remain” ritenendolo inferiore nei confronti di un “Damage Done”, decreterà il flop dei cinque di Goteborg, profetizzerà la loro morte artistica e dirà, scoprendo l’acqua calda, che non sono più una melodic death metal band.
E’ vero, gli In Flames non sono più una death metal band: il loro capolavoro di swedish death metal melodico l’hanno sfornato nel lontano 1996, quando uscì “The Jester Race”.
Probabilmente non possono più neanche essere definiti heavy metal (anche se non concordo), grazie ad un approccio alla composizione più vicino al rock alternativo che al metal, pur mantenendo un’ aggressività nei suoni e negli intenti difficile da trovare nel rock mainstream.
Ed ecco la chiave di volta dell’album: “The Quiet Place”, “Evil In A Closet”, “Borders And Shading” (i gioielli di quest’opera) sono il risultato di un’evoluzione, gradevole ma incompleta in “R.T.R.”, che qui, invece trova un suo compimento coerente ed estremamente piacevole.
La ballad “Evil In A Closet” ricalca un po’ le orme di “Metaphor” superandola: laddove “Metaphor” si chiudeva in se stessa proprio nel climax emozionale, “Evil In A Closet” si apre, esplode in tutta la sua malinconica voglia di rivalsa, come se la strofa deprimente fosse il preambolo ad una soluzione sofferta, ma necessaria, del ritornello; il singolo “The Quiet Place” è il possibile hit della prossima estate, presentabile al FestivalBar come una qualsiasi canzone degli Evanescence (o meglio gli Evanescence che incontrano i Motel Connection), è quello che sarebbe dovuta essere “Only For The Weak” (n.d.r.: ho già avuto il piacere di ascoltarla live grazie ad una sorta di bootleg e devo dire che rende davvero. Ringrazio la rete per questo); “My Sweet Shadow” vince la palma d’oro come canzone col miglior riff di chitarra, di chiara derivazione swedish (molto At The Gates “Blinded By Fear”-era), ha un andamento di atmosfere altalenante ed un ritornello epico (non pensate all’epicità di Manowar et simila), con un interludio in cui vi è una modulazione degli strumenti ispirata ai ‘cugini’ Soilwork di “Natural Born Chaos”; che dire della splendida “Borders And Shading”, tra le sorprese forse la più ancorata al passato: il perfetto mix tra i vecchi In Flames, il metalcore e l’alternative, un capolavoro di songwriting ed un ritornello da brividi.
Vi ricordate che nella premessa vi ho consigliato di dare una ripassatina a “Worlds Within The Margin”?
Ecco, quello che accomuna tutte le tracce è quell’atmosfera drammatico-apocalittica ben anticipata nella song di “Whoracle” (concettualmente simile a “Catch 22” dei conterranei Hypocrisy) che qui condisce tutte le composizioni, rendendole uniformi, caratterizzate ed originali.
Per concludere, gli In Flames, pur non avendo rivoluzionato il modo di concepire la musica rock, forse hanno trovato una nuova via al metal.
Purtroppo l’ heavy si sta autodistruggendo, troppi revival anni ’80, troppa moda retro’, e tra chi va alla ricerca di nuovi gruppi che suonano come i vecchi e chi, giustamente, preferisce ascoltare i classici, di certo non si sta aiutando il metal in senso lato a risollevarsi un po’.
Probabilmente quest’album ridarà linfa vitale ad un genere che sembra autocompiacersi con troppa facilità (il che non è un bene, si rischia una morte prematura causata da una staticità compositiva).
Sicuramente un album difficile (non lo ripeterò mai abbastanza), che non ha altra etichetta se non heavy metal: heavy in tutte le sue sfaccettature.
Di certo non per i puristi, ma per loro ci sono vagonate di altri albums pronti per essere ascoltati.

Tracklist:
01. F(r)iend
02. The Quiet Place
03. Dead Alone
04. Touch Of Red
05. Like You Better Dead
06. My Sweet Shadow
07. Evil In A Closet
08. In Search For I
09. Borders And Shading
10. Superhero Of The Computer Rage
11. Dial 595-Escape
12. Bottled

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