Recensione: Spasms of Rebirth

Di Stefano Santamaria - 4 Agosto 2017 - 0:00
Spasms of Rebirth
Band: Zaraza
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2017
Nazione:
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90

I Zaraza nascono in Ecuador nel lontano 1993. La band dà alla luce solo tre album, compreso questo, rispettivamente nel 1997, nel 2003 ed oggi. Da quel che ci risulta on-line era dal 2006, con la loro ultima demo, che non si incrociava il progetto. 

Il sound proposto è un doom decisamente enigmatico, capace di regalare suoni ed elementi personali ed inaspettati, in un contesto dagli sviluppi lenti, ma decisamente dissonanti. Ci imbattiamo inticchettii, effetti di fondo che potremo definire industrial, ma che non sono da interpretare nella più unta e sintetica accezione del termine. 

Sperimentalismo sulfureo si fa via via esoterico nelle ambientazioni, inserendo inaspetatamente via via sonorità di puro rumore. Un sound originale, che ad esempio in ‘Blood.ov.Psychiatrists’ ci materializza suoni di fabbrica, ferro tagliato e poi inumanamente ricomposto. Cigolio di arti, pupazzo che prende vita e che, come schiavo lobotomizzato lavora per un benessere solo apparente. 

Schivi osserviamo una sorta di rituale,  che in ‘Roadkill to You’ si perfeziona di nuovi elementi, clangore che ci viene narrato dal comparto vocale, per poi franare in una cupa consapevolezza. L’impasto delle voci è personale, originalità che trascende l’uso di taluni riflessi elettronici, ma che si manifesta in strutture imprevedibili e che ci ricordano anche la psichedelia.

Ipnotizzati restiamo inerti di fronte ad immagini che si susseguono, in un gioco di luci ed ombre nel quale la mestizia sublima in una lucida coscienza. La cognizione si intreccia con l’irrazionalità, note di fango che, non a caso, ci trascinano in una dimensione core, dal sapore sludge. Lo spasmo, citato nel titolo del full-length, è l’involontario nostro avvicinarsi a qualcosa che sappiamo essere pericoloso, ma da cui siamo attratti, inesorabilmente. “Spasms of Rebirth” è quella contrazione che ci ridesta, che ci angoscia ma che poi diventa familiare. Così vi abbiamo raccontato di un disco che mescola tante influenze, ma che poi non riusciamo ad accostare a nulla di particolare o definito. Lavoro che ci ha colpito per personalità, consigliandovi vivamente l’ascolto. Auspichiamo che non passi ancora così tanto tempo dall’incontrare i Zaraza, poiché hanno dimostrato di avere quella marcia in più che molti stentano ad avere. Meritano considerazione.  

Stefano “Thiess” Santamaria 

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