Recensione: Spite

Di Davide Iori - 28 Luglio 2008 - 0:00
Spite
Band: Marionette
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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74

Svedesi di origine, ma ansiosissimi di staccarsi quanto più possibile dal sound di Goteborg, i Marionette esordiscono con questo Spite, disco di 12 tracce edito da Listenable Records che, alla fine di tutto, risulta molto meno innovativo di quanto vorrebbe essere. Nonostante la collaborazione con produttori affermati dell’industria scandinava come Christian Silver (Sonic Syndicate) e Ake Parmerud (due Grammy svedesi all’attivo) nonchè le preponderanti influenze hardcore e (udite udite) giapponesi provenienti dalla Visual Kei scene, in fin dei conti la formula rimane sempre la stessa: aggressività accostata a musicalità, tra strofe casiniste e ritornelli cantabili con chitarroni a ricamare melodie che rendono il tutto maggiormente godibile anche dall’orecchio poco abituato alle sonorità estreme. Se poi i nostri si fanno sfuggire qualche raro stacco più rumoroso alla Converge non è che la minestra cambi così tanto il suo gusto… ma bando alle semplificazioni, addentriamoci piuttosto nel disco.

Spite si caratterizza per l’innata capacità dei suoi compositori di coniugare caos totale e melodie cantabili in un’unica sede, mettendo nelle stesse canzoni riff prettamente hardcore accompagnati ad armonizzazioni chitarristiche, arrangiamenti di tastiera e voci pulite che mantengono controbilanciato il tutto. La formula usata per la maggior parte del tempo è quella del cassa-rullante ad aprire le danze di ogni traccia accompagnato da un riffing furioso su metronomi molto veloci; dopo questa fase solitamente si passa ad un momento in cui la batteria diminuisce il numero colpi e la voce prende il sopravvento, passando dallo screaming al pulito per ottenere il classico ritornello cantabile. Massimo esempio di ciò è il singolo Burn Me, posto in sesta posizione e davvero coinvolgente con il suo refrain “Take me down with your love, swallow me in the fire”… davvero una canzone ben riuscita questa, peccato che, come molte delle sue compagne di tracklist, duri meno di tre minuti. La produzione naturalmente non è parte secondaria del disco e la mano di gente esperta si sente eccome: nel tripudio di commistioni tra hardcore e death melodico infatti non mancano sperimentazioni su tutti gli strumenti coinvolti. Il rullante viene mixato in modo da far venir fuori la sua parte più lamierosa, facendolo sembrare in certi frangenti più simile ad un bidone di latta che ad un fusto di legno, mentre la voce rimane per la maggior parte del tempo su di uno screaming molto acuto; tutto ciò non è un male, anzi, aggiunge una buona dose di fascino al disco, bisogna però anche dire che rischia di affaticare le orecchie dei meno abituati alle sonorità più estreme. Come avviene in praticamente tutte le produzioni svedesi degli ultimi tempi in ambito di Death Melodico (In Flames, Dark Tranquillity, Scar Symmetry, Sonic Syndicate…) anche i i Marionette scelgono di inserire arrangiamenti di tastiere, ma a loro favore in questo caso gioca il fatto che essi almeno hanno in formazione uno strumentista che sarà in grado di suonare per davvero quelle parti anche dal vivo, evitando il sempre più usato trucco di usare basi preregistrate per ottenere gli stessi suoni dell’album anche nei concerti, pur a scapito del realismo. Rimane tuttavia il fatto che la presenza di sintetizzatori non sia più una novità e che i suoni di tastiera in questo platter spesso vengano fagocitati da un riffing selvaggio che molto poco concede agli arrangiamenti elaborati, pur risultando molto trendy.

Giungo a concludere e mi accorgo di aver molto criticato un disco che, in fin dei conti, pur non essendo tutto quel capolavoro di innovazione che la biografia trionfalistica della casa discografica vorrebbe far sembrare, comunque propone buonissima musica, una specie di rivisitazione di quanto proposto dai Converge e da molte altre band hardcore estreme in salsa melodica e con un look da studenti giapponesi del liceo (ciuffettoni come se ne vedevano nella terra del sol levante da ben prima dell’ondata emo e gicche tipo divise scolastiche dei manga). Le canzoni sono belle ed anche ben prodotte, oltre alla già citata Burn Me mi sento di nominare anche Release, Dead Boys And Girls e l’articolata This is The End, quindi, se volete ascoltarvi qualcosa di un po’ diverso e non avete paura di veder dissacrato il vostro caro death from gothenburg fate un pensierino a questo Spite, potrebbe sorprendervi in positivo.

Tracklist:
1- Parasite
2- Legion
3- Release
4- Flies
5- Closed Doors
6- Burn Me
7- In Spite
8- To Make Man
9- Dead Boys And Girls
10- This Pain That We Refuse
11- Black Hand
12- This Is The End

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