Recensione: Stars wept to the Sea

Di Tiziano Marasco - 24 Aprile 2018 - 2:00
Stars wept to the Sea
Band: Unreqvited
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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77

Neanche il tempo di riprendersi dall’ottimo secondo album dei Sojourner che la nostra Avantgarde music colpisce duro con un’altra produzione degna di nota. Nella fattispecie si tratta, anche in questo caso, di un secondo album e ancora una volta si tratta di un lavoro che colpisce a prima vista. Ovvero a partire dalla cover. Non giriamoci torno, probabilmente non mi sarei mai avventurato nell’ascolto di un qualsiasi brano del one-man-project canadese Unreqvited, se non fosse stato per la meravigliosa copertina di cui l’album si fregia (diciamo pure la cover del debut era molto più “canonica” se pensiamo al genere, che ovviamente è di matrice black). Ad ogni modo, va detto che artwork e titolo non potrebbero presentare meglio i 48 minuti di musica che troveremo all’interno di questo “Stars wept to the Sea”.

Dietro a questo poetico titolo si cela, ma dato il nome del gruppo non era cosa difficile da intuire, di atmospheric black, e neppure troppo canonico. Unreqvited in effetti veste le sue composizioni di un’aurea sognante. Le tastiere, supportate da qualche sparuto elemento elettronico e da lampi di clean femminile etereo ed evocativo, sono onnipresenti. Creano atmosfere delicatissime, notturne.

Ne viene fuori un album che disegna sensazioni forti, un album che difficilmente qualcuno riuscirebbe a definire gelido. Molto più corretto definirlo sognante, onirico nel senso più dolce del termine. Il merito probabilmente è anche della produzione, davvero raffinata, che sposa meravigliosamente chitarre e tastiere e attutisce le (non molte) growling vocals, per un effetto assai omogeneo ed equilibrato.

Le 8 composizioni disegnano scenari notturni, cosmici e, a differenza dei temi depressivi di cui le canzoni dovrebbero parlare, i toni sono molto rilassanti. Non si sente uscire da questo disco ansia e dolore, ma una grande serenità onirica, adatta a un viaggio cosmico. Ancora, le chitarre di cui sopra offrono qua e là spunti interessanti e si presentano come uno degli elementi più affascinanti di “Stars wept to the Sea”. Spesso si allontanano dalla scarna semplicità tipica del genere e si avventurano in riff più strutturati, per un effetto che a chi scrive (anche perché è uno dei pochi ad aver sentito quel disco) riportano alla mente quel capolavoro che è “His creation revisited” degli Havayoth.

Per quanto il disco sia compatto, due episodi emergono in maniera abbastanza netta. Il primo è “Sturdust”, pezzo presentato a pochi giorni dall’uscita del disco, che ha avuto un ruolo fondamentale nella decisione di recensione. Si tratta di un pezzo con una struttura in climax, che mette in luce incredibili doti compositive e si rivela essere una meravigliosa cavalcata cosmica. L’altro pezzo che non può lasciare indifferenti è la successiva “Kurai” e, pur essendo un pezzo di atmoblack abbastanza canonico, è al contempo una meraviglia talmente bella che può solo essere ascoltata. Altri due brani che si distinguono sono le brevi “Empyrean” e “Namida”, costruite su semplici melodie di pianoforte.

Il resto risulta più canonico ma comunque di buon livello. Unreqvited, in “Stars wept to the Sea” compie dei notevoli passi Avanti. Il debut, pur essendo discreto, era anche molto canonico. In questa nuova prova il nostro infila un paio di vere e proprie gemme, ma anche a livello globale pare comunque molto ispirato e piuttosto maturo. Non solo, mette in evidenza una buona dose di personalità e riesce a creare una buona miscela di elementi che fanno sì che l’album abbi ottime possibilità per farsi notare nel piatto e opaco panorama dell’atmo black. Da ascoltare di sera in riva al mare il disco (ora), da tenere d’occhio l’uomo (in futuro). Potrebbero arrivare nuove sorprese e grosse soddisfazioni.

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

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