Recensione: Starspawn

Di Giuseppe Casafina - 31 Agosto 2016 - 12:13
Starspawn
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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85

Un brivido scorre lungo la schiena.

Di colpo un secondo, poi un terzo e così via….e così, la spirale emozionale dei Blood Incantation miete le sue vittime in maniera seriale, spirale sospesa nel tempo tra sogno e realtà: pare di ritrovarsi agli esordi del Metallo della Morte, quando fattori come ispirazione e personalità erano all’ordine del giorno mentre i cloni privi di ispirazione parevano una razza incapace di esistere e riprodursi.

Eppure questo é il presente e il sogno lascia sempre più spazio alle sfumature della realtà: “Starspawn” é la realizzazione più cruda del sogno Death Metal, un qualcosa che nessuno si sarebbe mai sognato di ritrovarsi dinanzi, così di colpo, mentre tutto attorno (o quasi, salvo rare eccezioni) crolla sotto la fulgida evidenza dell’imitazione ostentata come fosse chissà cosa, mentre qui le coordinate assumono ben altra direzione e l’odore del nuovo pare farsi prepotentemente strada. E’ raro, anzi sempre più raro, ritrovarsi ad ensemble della storia recente capaci di avere una così spiccata personalità, con il risultato di assomigliare unicamente a loro stessi nonostante non inventino nulla di così nuovo ed originale: é la purezza dell’attaccamento alle loro origini, ma anche la precisa voglia di andare avanti proseguendo sul cammino di sentieri nuovi lungo la infinita via del Death Metal, facendo tesoro della lezione dei maestri ed ignorando allo stesso tempo la voglia, spesso cieca e frettolosa, di agganciarsi a poemi già trattati in passato da viandanti ben più dotati.

Il viaggio dettato da questi americani però, é assai tortuoso, sebbene affascinante quanto complesso: i Nostri inoltre, pare abbiano capito che un gran disco é quasi sempre contornato da una grande produzione. Con ciò non si vuole intendere il sempre più crescente dilagare di produzioni moderne atte a snaturare l’essenza stessa del suono registrato, quanto piuttosto la ricerca della pasta sonora più adatta ad un suono così oscuramente sospeso tra passato e futuro: l’obiettivo é centrato appieno perché in quanto il magma sonico di “Staspawn” esprime violenza cieca in maniera cruda e soprattutto naturale in qualsiasi elemento della propria unione cerimoniale.

Le chitarre risalgono agli albori del death metal con il loro suono cupo e quasi ‘Morbidangeliano’ ed un riffing sempre azzeccato, ispirato e tagliente senza mai risultare ridondante. La batteria, quanto di più assassino e naturale ci sia oggi: lontana dal fenomeno del trigger, il genocidio ritmico é completamente immerso nei meandri della più pura realtà sonora. In ultimo, anche basso e voce non sono da meno: il primo intento a disegnare linee di maledizione astrale tra un passaggio e l’altro mentre la seconda pare provenire direttamente dall’abisso di un’epoca che pareva persa venti anni or sono.

E rendiamo chiaro un concetto, cioé che tutto ciò faccia pensare ad una sola e misera, furba operazione di ‘risciacquo’ dei tempi che furono: il suono é anche figlio della sua epoca, pur avendo radici ben piantate nella tradizione. In pratica, un sogno nel sogno.

Il songwriting é magnetico e, seppur complesso e lontano dallo stereotipo di un certo tipo di death metal ‘straight in your face’, conserva a suo modo un’aura pesantemente violenta: come una rivisitazione in chiave death metal di “The Dark Side Of The Moon” oppure “2112”, i Blood Incantation alternano passaggi più tirati a momenti di apparente respiro, prima di far riesplodere nuovamente un caos egregiamente controllato dalle esperte mani di esperti stregoni. Atmosfere sempre sospese nei meandri del Cosmo e della Magia più arcana, concetti ben espressi sia liricamente che strumentalmente.

“Starspawn” é un platter che convince da ogni punto di vista, consigliato sia ai deathsters più incalliti che ai novizi, ed in entrambe le categorie appare particolarmente indicato per capire come si possa suonare death metal oggigiorno rimanendo puri e senza abbandonarsi ad ibridi e/o sperimentazioni con generi estranei al death metal stesso: dieci spanne sopra a circa il 90% della roba che gira oggi (non che la maggior parte di questa sia superflua e non piacevole, ma al cospetto della personalità musicale di questi americani quasi tutto pare volersi mettere automaticamente in ombra), spero che ciò sia sufficiente.

L’unico difetto del platter, se proprio così vogliamo chiamarlo, risiede nella sua breve durata: 5 pezzi in totale, di cui uno interamente strumentale (il Mantra cosmico di ‘Meticulous Soul Devourment’) ma direi che dinanzi a cotanta maestosità musicale si possa anche chiudere un occhio senza problemi e lasciarsi trasportare da una delle più efficaci trasposizioni dello spirito death metal mai uscite negli ultimi anni nel campo.

Una garanzia, non ne rimarrete delusi.

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