Recensione: Stratosfear

Di Francesco "Caleb" Papaleo - 21 Marzo 2016 - 15:24
Stratosfear
Band: Ad Vitam
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Band giovane, questi Ad Vitam, proveniente dalla Sardegna, che nonostante tutto ha avuto occasione, a quanto leggo, di suonare con Forgotten Tomb e Fleshgod Apocalypse, cosa che in effetti conferma il giudizio che si può averne già dai primi ascolti e che non può che essere di soddisfazione per il genere suonato.

Un death metal che più che melodico in senso stretto, classificherei come sinfonico, viste le sempre presenti aperture ariose nelle canzoni che, per mettere subito in chiaro il loro carattere, vengono ben evidenziate. Ad esempio, in “Bite Me Immortal”: un brano ottimamente composto, quadrato e che ricorda molto una via di mezzo tra i già citati Fleshgod Apocalypse (per i barocchismi sinfonici tipici) e i Lamb Of God (per la cadenza e la voce del cantante Mattia Amadori: graffiante e sulfurea che è un piacere da ascoltare).

Quel che mi ha molto stupito di questa band poi, è la tecnica e la padronanza degli strumenti di tutti i componenti, con una nota di merito ulteriore che va al bassista Federico Raspa, che, complice pure un’ottima e cristallina produzione, riesce a lasciare un segno distintivo in tutto l’album. Cito ad esempio “Plagues Of Nothing”, dove la linea di basso sostiene benissimo tutta la parte chitarristica, dando anima a un brano bello tosto che nella complessa parte centrale si abbandona a chiarissimi (e bellissimi) richiami ai Cynic e alle contaminazioni che questi portavano.

Questi ragazzi si dedicano a una musica equilibrata e variegata, che spazia dal progressive di gusto vecchi Opeth (“Under A Cypress Root”), al melodico degli Eternal Tears Of Sorrow e Dark Tranquillity (“There Was Blood Everywhere”), al fosco sinfonico con soluzioni che possono ricordare molto da vicino, in certi momenti, addirittura i Dimmu Borgir (“Join Me In Farewell” e “Spektrum Waltz”), senza dimenticare che dopotutto si parla sempre di death metal, ma non di matrice biecamente nichilista e distruttiva, bensì colma di sentimento e ispirata, che mette in risalto anzitutto la sensibilità delle composizioni e che infine in questa maniera ne guadagnano in spessore e valore. 

Lode al merito per gli Ad Vitam quindi, per le loro scelte stilistiche: potevano dedicarsi, senza abbandonare lo stesso genere, a soluzioni più facili da digerire e certamente di maggiore mordente, e invece hanno scelto di suonare avvalendosi di architetture affascinanti ma certamente complesse e che, se non ben proposte sarebbero potute risultare noiose.

Così non è stato riuscendo invece in un bello e dinamico mix a catturare l’ascolto grazie a brani dinamici, con chitarre a macinare riff schiacciasassi senza dimenticare soli di valore (ascoltate la parte finale di “Fall Of Collective Consciousness” e capirete…), e a tastiere sempre ben in evidenza a sottolineare il lato più intimista del lavoro. Lampante esempio di questa commistione, può essere certamente “Inception”: brano completo di riassunto a “Stratosfear” e che in solo quattro minuti riesce bene nella sua sintesi a rispondere alla domanda su chi siano gli Ad Vitam.

Bravi e talentuosi. Bel disco.

Francesco “Caleb” Papaleo

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