Recensione: Stratovarius

Di Paolo Beretta - 14 Settembre 2005 - 0:00
Stratovarius
Band: Stratovarius
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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72

Settembre/Ottobre 2005.

Per la gioia di molti, quella che, personalmente, ho sempre definito come “la Triade del Power Metal moderno europeo” (in rigoroso ordine alfabetico Gamma Ray – Helloween – Stratovarius) ha deciso di pubblicare quasi in contemporanea i rispettivi nuovi album. Il primo di questi attesissimi lavori, che ha messo in uno stato di fibrillazione i fans, è quello dell’ormai mitico combo finlandese. Seguitemi quindi per l’analisi del loro dodicesimo pargolo.

Musica! Dopo mesi di vicissitudini, che hanno rischiato di culminare con un clamoroso split definitivo, posso finalmente accostare al nome Stratovarius parole come musica, compact disc e canzoni perché l’omonimo album è nei negozi. Archiviati i 2 Elements Timo Tolkki decide di ripartire. La scelta dell’artwork minimale su sfondo nero unita a quella del titolo (da debutto) non mi lasciano dubbi a riguardo: c’è la volontà di costruire assieme un nuovo futuro. Una volontà probabilmente maturata consensualmente dopo avere constatato si essere andati troppo vicini dal rompere, per sempre, una storia lunga e prodiga di soddisfazioni. Per questo motivo mi voglio discostare da tutte le recensioni che paragoneranno “Stratovarius” alle masterpiece del gruppo sottolineandone le differenze. Troppo facile, a mio opinabile parere, massacrare la band perché non riesce più a pubblicare album come Visions/Episode. Trovo più difficile, e stimolante, fare quello che la formazione a mio parere chiede chiaramente a propri fans: giudicare S. senza pregiudizi come se fosse un nuovo debutto analizzandone, semplicemente, pregi e difetti per poi tirare le file del discorso.

9 tracce che sfiorano i 50 minuti totali. Produzione di elevata caratura che rende il sound potente e preciso al pari della prova, tecnicamente impeccabile, del gruppo (in particolare Kotipelto). Nel complesso il lavoro è semplice e anche la struttura dei brani più lunghi non è per nulla ricercata. La logica conseguenza che ne segue è che qualunque sia la vostra prima impressione difficilmente la cambierete in modo drastico con il passare dei mesi e dei passaggi. Il lavoro lo si può dividere in 3 parti di 3 canzoni ciascuna. La prima è quella migliore in quanto offre buone Hit dall’alto potenziale commerciale, la seconda mostra una preoccupante flessione parzialmente riscattata dal rassicurante finale. Molti i passaggi piacevoli, pochi quelli davvero memorabili, (al pari di quelli infelici), per un cd ben fatto che considero globalmente più che discreto.

Entrando nello specifico il lavoro si apre con L’Hard Rock semplice e ignorante di Maniac Dance caratterizzato da un sound aggressivo con riff di qualità. Da sottolineare la prestazione di Timo il quale si cimenta in un cantato spigoloso dal grande effetto per un’opener che riesce nell’intento di attirare l’attenzione. Il power melodico giunge con la successiva Fight!!! Canzone dal testo decisamente “manoworiano” (solo quello, sia ben chiaro) ed elementare per struttura che punta tutto sulla scorrevolezza invidiabile del chorus durante il quale Kotipelto offre estensioni lunghe unite alla pulizia d’esecuzione. Segue quello che giudico il migliore capitolo del cd: Just Carry On. Il basso di Jari, assieme alla batteria di Jörg, detta tempi accattivanti giocando con leggere accelerazioni mai eccessive. Il bridge, oliato alla perfezione, ci porta a cantare con convinzione il refrain ed a muovere la mano per seguirne il ritmo. Dopo questo ottimo tris la luce si spegne parzialmente. Back To Madness cerca di agitarsi con continui cambi di ritmo, parti liriche e parlati che, tuttavia, spezzano il brano rendendolo alle mie orecchie pesante anche se, con il passare degli ascolti, migliora; ma non abbastanza. Carina la successiva Gypse In Me nella quale si segnala la presenza in primo piano delle Keyboards di Jens. Dopo le prime note sembrerebbe di trovarsi al cospetto di una Hit incalzante ma la potenza delle strofe viene tarpata da un refrain non eccessivo per le melodie profuse. Ogni disco ha un momento più o meno infelice: la mini-suite a sfondo storico Götterdämmerung (Zenith Of Power) si merita indiscutibilmente l’appellativo di Skip Song. E dire che, inizialmente, il tono pomposo ed oscuro (che ben si addice al testo di condanna nei confronti di Hitler) unito alle strofe ficcanti mi aveva colpito favorevolmente. Peccato che dopo il solos il disco si inceppi, si inceppi, si inceppi, si inceppi, si inceppi…solo così, infatti, riesco a giustificare la scelta poco razionale, quasi masochistica, di ripetere ossessivamente per 3 lunghissimi minuti il chorus pesante e piatto che, inutile dirlo, trasforma la song in un mattone. Nella parte conclusiva le sorti si risollevano e gli Strato ci regalano una ballata fugace davvero lodevole intitolata The Land Of Ice And Snow che omaggia al meglio le terre d’origine della band grazie l’estrema delicatezza dell’ugola di Timo. La fine del lavoro si avvicina a grandi falcate con un massaccio mid tempo (Leave The Tribe) alleggerito da un coro studiato. Una track che funge da piacevole apripista al sigillo United. Il pezzo, dal testo molto autobiografico, : “We lost the way, we lost the key //But the spirit was kept alive and free // […] We hear your cries // […] We are togheter again // […] United we stand, divided we fall”, altro non è che una marcia pomposa e riuscita. Il finale, giustamente melenso, forse è un po’ troppo lungo ma sono dettagli.

Se credete che gli Stratovarius debbano per forza di cose ripercorrere la strada di Visions/Episode ecc… per meritare il vostro appoggio, se credete davvero questo lasciate l’omonimo nuovo cd nei negozi. La band è tornata per una nuova fase (una sorta di nuovo debutto) della loro carriera e lo ha voluto fare con un disco onesto, lungi dall’essere perfetto, che non propone nemmeno una speed metal song alla “Jörg Michael”. Ci sono margini di miglioramento, specie nelle song più lunghe, ma, se si riesce ad analizzare il lavoro senza guardare indietro si può apprezzare un cd piacevole che mi ha dato l’impressione di essere stato concepito con eccessiva foga per voler dimostrare ai detrattori che hanno ancora qualcosa da dire. Qualcosa di più “lento e diverso” che, proprio per questo, verrà sicuramente criticato da molti; io lo prendo come un semplice, ma fermo, nuovo punto di partenza…

Nota: Nella Limited Edition in formato digipack ci sono il video di Maniac Dance e la sezione Rockumentary. Quest’ultima consiste in una serie di interviste (con sottotitoli in inglese) ai membri della band che raccontano l’ultimo anno: la separazione, la riconciliazione e la nascita del nuovo album.

Top Songs: Just Carry On, Fight!!!, The Land Of Ice And Snow.
Skip Song: Götterdämmerung (Zenith Of Power).

Tracklist:

1. Maniac Dance
2. Fight!!!
3. Just Carry On
4. Back To Madness
5. Gypse In Me
6. Götterdämmerung (Zenith Of Power)
7. The Land Of Ice And Snow
8. Leave The Tribe
9. United

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