Recensione: Stream Of Consciousness

Di Gaetano Loffredo - 4 Maggio 2004 - 0:00
Stream of Consciousness
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Anno: 2004
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88

Tra gli artisti della scena made in Italy, annoveriamo da tempo il conosciutissimo Olaf Thorsen ex leader storico dei Labyrinth nonché padre fondatore degli ormai consacrati Vision Divine all’attivo dal 1999 presenti oggi con il loro terzo full lenght titolato Stream of Consciousness.
Come tutti ormai sapete da tempo, Olaf ha lasciato la sua band originaria a causa di insormontabili divergenze interne e si è tranquillamente fatto da parte senza perdersi d’animo anzi; tutto questo gli ha permesso di concentrarsi solo ed esclusivamente sulla sua unica “visione divina”.
I problemi che hanno riguardato la band non hanno toccato in prima linea soltanto Olaf ma, per esempio, la dipartita del singer Fabio Lione (che ha dovuto dare tassativamente la precedenza ai Rhapsody) sembrava aver dato il colpo di grazia ma ecco spuntare dal cilindro magico questo Michele Luppi, del quale avremo ampliamente modo di parlare nel corso della recensione! L’innesto di Matteo Amoroso (ex Athena di “A new religion” ricordate?) alla batteria è soltanto l’ultimo di una serie di cambiamenti che, naturalmente, mi facevano pensare ad un nuovo platter come un principio di amalgama tra nuovi e vecchi componenti causa degli enormi stravolgimenti della line-up e invece…
Una volta notato lo splendido booklet raffigurante la sagoma di un angelo dalle sembianze di Olaf Thorsen imprigionato in una camicia di forza in una stanza di un manicomio di inizio ‘900 (Manicomio utilizzato per la foto session all’interno del libretto), ci si accorge matematicamente anche del timbro che firma il tutto: la Scarlet Records, che ha fatto davvero l’impossibile per subentrare all’Atrheia e, mai colpo fu più azzeccato di questo!

Già dall’intro Stream of Unconsciousness non si fa fatica a comprendere che questo lavoro esce dai soliti cliché e nel suo minuto scarso ascoltiamo un uomo (presumo sia Olaf considerato che i testi girano intorno alla sua personalità) canticchia il quattordicesimo capitolo del cd; ovvero la fantastica ballad “Identities”.
L’opener “The Secret of life” scalda fin da subito i nostri cuori con un riff portentoso di chitarra che interagisce alla perfezione con i restanti strumenti musicali ma, soprattutto, col più atteso ed importante: la voce di Michele Luppi.
A fatica riesco a concepire che, fino a poco tempo fa, questo cantante era praticamente sconosciuto anche agli esperti conoscitori di metal classico nonostante il suo bagaglio di esperienza a dir poco invidiabile visto e considerato il suo diploma al VIT di Los Angeles.
Michele si adatta forse meglio di quanto non lo facesse il suo collega Fabio Lione e la bellezza del suo timbro vocale regna letteralmente incontrastato per l’intera durata del lavoro.
“Colours of my World” comincia dove la precedente finisce: lento incedere di un suono vagamente elettronico che introduce una una candida melodia dove Luppi ci sguazza come se fosse un singer consumato; bloccato soltanto dal favoloso break centrale di chitarra alternata alla tastiera (a proposito di tastiera, in questo album è utilizzata con estrema parsimonia e sempre al momento esatto!) ma, dopo pochi secondi, eccolo riprendere di forza il meraviglioso ritornello dal testo intimista.
La successiva “The fallen Feather” è preceduta da un altro particolarissimo momento introduttivo (che lascia un retrogusto di tristezza ed in generale di uno stato d’ansia) ed è introdotta da un roccioso riff di chitarra che svanisce poco a poco con l’innesto degli altri strumenti e, da tutto questo, si evince pienamente la perizia “millimetrica” degli arrangiamenti nonché la sfavillante vena compositiva del nostro Olaf.
Siamo giunti finalmente alla track che farà spiccare il volo ai Vision Divine: “La vita fugge”. Ciò che impressiona non è certo il titolo scritto in italiano o il fatto che si tratta di una interpretazione dello splendido sonetto di Francesco Petrarca no, niente di tutto questo, la velocità e la melodia che rappresentano La Vita Fugge possono essere paragonate soltanto alla mitica Thunder di Return to heaven denied dei Labyrinth (ed io trovo addirittura migliore questa) con un Luppi tanto dolce quanto devastante in sede di acuto. Signore e Signori, il perfetto intermezzo vocale esistente tra i nostri Lione e Tiranti: cosa si vuole di più?
Si passa da un pezzo tiratissimo ad un mid tempo avvolgente e tecnicamente ineccepibile; “Version of the Same” è davvero toccante, di rara bellezza melodica e, soprattutto, da cantare in presa diretta.
Chapter eight destinato ai diversi momenti musicali presenti in “Through the eyes of god” che talvolta è lenta e dolce, talvolta aggressiva pronta a scaldarci per lanciarci nel successivo up-tempo “Shades” che fa della velocità e dei suoi continui assoli ora di chitarra, ora di tastiera i suoi punti forti, senza dimenticare lo stile classico e l’alone barocco che permea per intiero dall’inizio alla fine della song: splendido.
Un giro di chitarra di stampo Manowariano introduce “We are, we are not” per una song che si distacca non di poco dai pezzi ascoltati fino ad ora, ma sempre costantemente ad altissimi livelli. Anche qui, da sottolineare il fulminante assolo di chitarra centrale collegato strettamente con una tastiera sparata a velocità della luce (Staropoli Docet  ).
Un paio di successivi intermezzi acustici sono obbligatori prima di buttarci a capofitto su un altro pezzo da top ten: Out of the maze che possiamo mettere tranquillamente in contrapposizione di “Living on the maze” tratta dall’ultimo Labyrinth… è un caso?
Velocissima song impreziosita ancora una volta dai suoni scelti da Olaf che sono di una freschezza cristallina inedita.
Identities è la conclusiva ballad che chiude nel modo migliore possibile questo assoluto capolavoro di stampo italiano e, non ricordo di averne sentita negli ultimi anni una così candida; da far accapponare la pelle… provare per credere.

Ci troviamo di fronte, ad un lavoro ineccepibile che traccia nuove coordinate in campo power metal e che trovo talmente bello da non riuscire ad esprimere con parole mie l’effettiva portata emotiva che pervade le 14 track a disposizione.
Stream of consciousness è dunque uno dei migliori album prodotti sino ad oggi da una metal band tricolore ed il suo acquisto, per fans e non, è obbligatorio.

Gaetano “Knightrider” Loffredo

Tracklist:

Chapter I – Stream of unconsciousness
Chapter II – The Secret of live
Chapter III – Colours of my world
Chapter IV – In the light
Chapter V – The fallen feather
Chapter VI – La vita fugge
Chapter VII – Version of the same
Chapter VIII – Through the eyes of god
Chapter IX – Shades
Chapter X – We are, we are not
Chapter XI – Fool’s garden
Chapter XII – The fall of reason
Chapter XIII – Out of the maze
Chapter XIV – Identities

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